sabato 23 giugno 2012

Sicilia No Stop 7 - 12/15 giugno 2012


Sicilia No Stop 7


Premessa

Forse un giorno i medici arriveranno a studiare quello strano fenomeno che si chiama randagismo e che colpisce tutti quelli che, come me, hanno normalmente una vita ordinaria e per qualche giorno all’anno amano soffrire le pene dell’inferno per raggiungere una meta e poi ripromettersi di non farlo più, perlomeno fino alla prossima volta … 
Si perché è proprio questo il problema: ogni volta si giura a se stessi che sarà l’ultima e invece, poi, il giorno dopo si è già in cerca di notizie su una nuova randonnèe e su una nuova avventura. 
Io non faccio eccezione alla regola e quindi anche stavolta ho accettato di non mantener fede agli impegni che mi ero prefissato l’ultima volta che avevo completato la Sicilia No Stop, nel 2010. In quell’occasione riuscii addirittura a divertirmi, completando i mille chilometri con una relativa tranquillità e con la certezza, ahimè smentita, di non ritornarvi. 
Il “Mal d’Africa” ha colpito ancora e quindi mi son ritrovato iscritto alla settima edizione della SNS con la certezza rinnovata di non tornarvi mai più ?!?
Escludendo quello che potrebbe essere lo stato d’animo di un ciclista della domenica, quale mi ritengo di essere, ho cercato sin dall’inverno di allenarmi e di prepararmi ad affrontare questa estenuante prova: prima con allenamenti standard e poi con delle vere e proprie simulazioni di quelle che potevano essere le condizioni climatiche in Sicilia nel mese di Giugno. 
L’ultimo test, sule strade della Lucania, in una rovente giornata d’inizio estate, mi ha definitivamente confermato che la SNS sarebbe stata dura con il caldo previsto per i giorni della manifestazione. Come porvi rimedio? Prima di tutto cercando di scaricare dalla bici tutta la zavorra eccessiva che in genere contribuisce ad un dispendio maggiore di energia: quindi stavolta solo cose essenziali, basando tutto sulla comodità dei “bag drop” che saranno poco “rando-style”, ma risultano molto pratici. Poi cercando di curare l’idratazione e il reintegro dei sali minerali, mediante l’uso di dosi massicce di prodotti specifici. 
Una delle novità del 2012 è sicuramente il luogo della partenza che passa dalla mitica Patti alla periferia di Palermo e precisamente ad Isola delle Femmine, delizioso comune balneare a ridosso del più tristemente famoso Capaci, dove, come tutti sanno, è avvenuta la terribile strage del 1992 nella quale rimasero vittime il giudice Falcone, la moglie e i componenti della loro scorta. 




L’organizzatore, Salvatore “Totò” Giordano, ha motivato la scelta di tale cambiamento principalmente per garantire un facile accesso ai molti atleti provenienti da fuori regione grazie al vicino porto e aeroporto e soprattutto per poter rendere omaggio alla memoria del giudice Falcone e di tutte le vittime della mafia mediante un omaggio floreale alla stele eretta nel luogo della strage, all’atto della partenza della SNS. 
Non voglio entrare nel merito di tale scelta, retta da motivazioni assolutamente condivisibili e sacrosante, ma la SNS è sempre stata sinonimo di partenza e arrivo da Patti con l’atto finale dell’ascesa al monte Tindari e al suo santuario che consacrava anche religiosamente la fine dell’immane sforzo agonistico. Ma tant’è e quindi organizzo il viaggio con destinazione Palermo e precisamente presso il villaggio turistico Saracen, ad Isola delle Femmine, che ha anche convenzionato una serie di servizi alloggiativi per gli atleti e le loro famiglie: una buona possibilità per far combaciare la randonnèe e una vacanza. 

Lunedì 11 giugno 2012 (the day before)

Il viaggio con il mio amico Domenico fila liscio e arriviamo il giorno prima della partenza presso la struttura alberghiera dove comincio a intravedere molti volti conosciuti, compagni di altre avventure. La componente del nord Italia è corposa, ma non quanto gli organizzatori si attendessero: alla fine i partenti saranno poco più di sessanta. Ritrovo il mio amico Giuseppe, già compagno di gran parte della precedente SNS: è reduce da una massacrante prova di 400 km in Abruzzo e, a meno di 48 ore, è già pronto a ripartire per la over mille siciliana. Rimango sempre basito dalla sua tranquillità e dalla sua capacità di prendere tutto con un self control che farebbe invidia al più antico degli inglesi. 
Nel pomeriggio è prevista la conferenza di Totò e quindi a noi rimane sufficiente tempo per fare un giro turistico nel centro storico della vicina Palermo dove spero di trovare qualche regalo da portare a casa alla mia paziente famiglia.
Il cuore pulsante del capoluogo siciliano è come un microcosmo che vive di sue regole precise: il sottofondo musicale è un mix composto da un continuo strombazzare di sirene di ambulanze e dal vociare copioso e sboccato degli ambulanti che colorano i vari mercatini della città insieme a quelli che propongono in vendita svariati generi alimentari che spaziano dal pesce fresco arrostito sul posto al famoso “pani ca meusa” ovvero il mitico panino con la milza. E’ proprio questa specialità che mi tenta peggio di una sirena incantatrice: il suo profumo è davvero irresistibile e chiunque l’ha provato ne è rimasto colpito e attratto positivamente. Vorrei ma non posso: purtroppo a poche ore dalla partenza della SNS non è saggio mangiare cose di cui non si conosce la propria reazione intestinale. Desisto, ma non mollo: l’appuntamento è solo rimandato. 
Ripieghiamo per il pranzo presso la storica Focacceria San Francesco, che, a dispetto del suo nome, non sforna solo focacce, ma è in realtà un ristorante tipico i cui chef, rinomati sulle maggiori guide del settore, deliziano i propri avventori con tutta una serie di piatti tipici della cucina palermitana, sulla quale capeggiano il pesce fresco e la mitica milza: ma di questo ne ho già parlato. Il pranzo è davvero all’altezza delle aspettative e lascia lo spazio ad un pomeriggio che definirlo afoso e davvero poca cosa. Comincio a temere il peggio perché le previsioni parlano di una settimana davvero calda con il picco proprio nella giornata di avvio della SNS. 
Al nostro ritorno in albergo troviamo Totò Giordano e il suo staff che si prodigano a completare le fasi finali di registrazione con la consegna delle borse nelle quali verranno depositati i ricambi da trasportare nei punti di controllo scelti da ogni ciclista. Io ho scelto di depositare il primo sacchetto a Scoglitti (quasi 400 km) e il secondo a Capo Sant’Alessio (quasi 700 km) cercando di replicare la precedente strategia spalmata su tre giorni, ovvero: 400/300/300. 
La tattica, in questo tipo di competizioni è fondamentale: alcuni preferiscono farla in totale autonomia e quindi non utilizzano il servizio di bag drop, mentre altri, come me, vivono la propria avventura godendo della tranquillità di poter disporre di un cambio pulito e di qualche kg in meno da trasportare sulla bici. 
Dopo le procedure di registrazione, in un clima di euforia generale, tutta la tribù nomade si sposta nella sala convegno nella quale viene presentata ufficialmente la randonnèe e vengono dispensati consigli utili per chi affronta per la prima volta la SNS, mettendo in guardia dalle insidie del percorso e indicando le possibilità di seguire diversi itinerari tra due punti di controllo. Ascolto con attenzione e apprensione perché è statistico: su 1000 e oltre km, le possibilità di sbagliare strada sono alte e non sempre facile tornare indietro, specie quando, come già successo più volte, nel tratto tra Siracusa e Catania, diversi ciclisti sono stati fermati dalla Polizia Stradale perché sorpresi a viaggiare tranquillamente su una autostrada: si, avete capito bene, un autostrada che, per una serie di strani incroci, viene imboccata inconsapevolmente perché altro non è che la prosecuzione di una strada statale che, senza possibilità diverse, diventa improvvisamente una strada a scorrimento veloce assimilata a rango di autostrada. 
Annoto tutto e controllo ancora una volta di avere le tracce GPS giuste, compreso quelle relative al mitico tratto autostradale, ai nuovi punti di controllo e all’arrivo che prevede il non facile attraversamento della città di Palermo. 
La strategia sarebbe di fare la SNS in solitaria, ma considerata la positiva esperienza maturata con Giuseppe nella scorsa edizione, decido di accodarmi a lui e di fare con lui un pezzo di strada o magari tutta la rando. 
La sera si avvicina, preparo e ricontrollo tutto, dalla bicicletta all’abbigliamento della giornata successiva e poi, tutti insieme, ci rechiamo a cena dove, complice un bellissimo tramonto su un fresco terrazzo, passiamo qualche ora di spensieratezza in compagnia di tanti ricordi di precedenti avventure. Non credo di essere l’unico con quel senso di agitazione e di tensione, ma forse gli altri nascondo meglio di me i loro sentimenti. 

Martedì 12 giugno 2012 (il primo giorno)

La notte è volata via tranquilla: non proprio tutta di sonno, ma almeno fresca e senza zanzare. Sono le cinque e la sveglia impietosa ci butta a terra. Sembro un soldato svizzero: nel giro di trenta minuti ho fatto di tutto, dalla barba alla doccia e sono già pronto e vestito per andare a colazione. Come me tanti altri si sono anticipati e sono già in attesa che la cucina del residence apra i battenti. Purtroppo la delusione è forte: la colazione è davvero misera e non a misura di ciclista: ma tant’è e quindi mando giù qualcosa e mi precipito fuori a ricontrollare la bici e a fare un rapido controllo delle dotazioni di bordo per evitare di dimenticare qualcosa di importante. 
Sono da poco passate le sei ed arrivano molti ciclisti siciliani che, bontà loro, non hanno dovuto affrontare l’onere del viaggio e le spese del soggiorno. Arriva anche Totò che ci consegna un bellissimo fiore che dovremo depositare presso la stele eretta nel vicino Comune di Capaci in onore del giudice Falcone. Puntuali, poco dopo le sei e trenta, partiamo per il breve viaggio verso Capaci, dove lasciamo il nostro fiore e il nostro pensiero alle vittime della mafia. Dopo una foto di gruppo, ci ricompattiamo e finalmente partiamo in direzione di San Vito lo Capo dove è posizionato il primo controllo. 
Come da rituale i primi km sono veloci e agili e vengono percorsi in gruppo che purtroppo non riesco a seguire anche perché ho un occhio rivolto al mio amico Giuseppe che rimane ancora più indietro forse anche a causa del residuo di stanchezza derivante dalla impegnativa prova di appena due giorni prima. Lo aspetto e mi sincero delle sue condizioni: in realtà è lui che mi rassicura dicendomi che, questa fase, sarà breve e presto riprenderà il suo solito passo: gli credo anche perché Giuseppe è una persona che parla davvero poco e quelle rare parole che proferisce sono frutto di attente considerazioni. 
Per chi conosce la morfologia della Sicilia, sa che il periplo dell’isola ha una forma sostanzialmente triangolare i cui spigoli sono San Vito Lo Capo (ad Ovest), PortoPalo di Capo Passero (a SudEst) e Messina (a NordEst). Ognuno di questi tre capi delimita idealmente il nostro sforzo complessivo e quindi raggiungerlo significa raggiungere un importante obiettivo. Nelle precedenti edizioni San Vito lo Capo era posto circa al 300 km, mentre ora, con la nuova location dello start, si trova a circa 100km dalla partenza. Una differenza di 200km che, per chi ha già fatto più di una edizione con la partenza a Patti, significa rivedere molti dei propri punti di riferimento.  
Le gambe sono stranamente fresche e tutto risponde bene agli stimoli. Rimango sempre nelle retrovie e, solo alcuni ragazzi, procedono con un passo più lento del nostro, ma le nostre soste alternano spesso le posizioni di coda. Il grande Silvano è uno di quelli che ha una sua strategia che consiste fondamentalmente nella voglia di trascorrere tre giorni in assoluta allegria e spensieratezza. Silvano fa parte di un gruppo di quattro veneti che viaggia compatto con un passo molto tranquillo. Mentre lo raggiungo rimango colpito dalla presenza di uno dei quattro paladini che scopro essere Ezio, un tostissimo sessantenne pensionato che va davvero forte e conclude le proprie rando sempre con tempi davvero eccezionali a fianco di più blasonati giovanotti. Allo stupore di trovarlo nelle retrovie mi risponde che stavolta deve accompagnare alcuni ragazzi alla loro prima avventura in terra siciliana. Trovo l’intento lodevole anche se credo che sarà dura per un coriaceo come lui riuscire a mantenere questo passo: è sempre davanti ad aspettare che gli altri lo raggiungano e comincia a mugugnre qualcosa: capisco che l’idilio non durerà a lungo. Silvano, sornione, sorride e aspetta che gli eventi si compiano … 
Nelle posizioni di coda c’è anche un altro mostro sacro del mondo randagio italiano ed internazionale, ovvero Luigi che con il suo fare tranquillo denota grande esperienza: è un pensionato milanese e, anche lui, come Ezio, ha una gestione davvero particolare del sonno, ovvero è capace di dormire davvero poco se non addirittura nulla.  Hanno tutta la mia sana invidia!!!
Completano le retrovie il team dei Torinesi, ovvero la granitica Silvia, il suo roccioso e simpatico boyfriend, Marco, e il reclinato Paolo che, a memoria d’uomo, non è mai stato visto triste: è come se avesse un sorriso stampato sul volto, anche quando a uno spudorato ottimista verrebbe da piangere. Sono tre anime della stessa faccia, ovvero della voglia di fare un sano cicloturismo senza esasperazioni e senza alcuna importanza per il tempo complessivo. 
Altri ragazzi sono sulle nostre stesse medie e ci alterniamo in base a come la strada scelga di scorrere sotto le nostre ruote. A proposito, questa volta ho montato sulla mia merlina solo una borsa anteriore, relegando ad un piccolo borsello sottosella la custodia dell’attrezzeria essenziale alle esigenze meccaniche: sono contento della scelta e il peso anteriore sembra ben bilanciato con il resto della bici. 
Dopo due ore di viaggio raggiungiamo Castelammare del Golfo, uno dei posti più incantevoli di tutto il nostro viaggio: tutti, ma proprio tutti si fermano per immortalare il bellissimo paesaggio e io non faccio eccezione: la mia macchina fotografica è sempre a portata di mano ed è davvero un’ottima compagna di viaggio.  
Le temperature iniziano a salire e raggiungono facilmente valori oltre i 35 gradi. Le cose, però, iniziano seriamente a peggiorare quando comincia ad alzarsi un vento caldo che purtroppo soffia contrario al nostro senso di marcia. E’ talmente caldo che la bocca si impasta nel giro di pochi minuti e quindi si è costretti a fermarsi più di qualche volta per rifornire le borracce e soprattutto di integrare i liquidi persi. Alterno granite e coca-cola, nella speranza di mangiare qualcosa al controllo di San Vito Lo Capo. Con il caldo eccessivo mi risulta difficile mangiare cibi solidi mentre pedalo e quindi cerco di mangiare bene durante le soste ai controlli. Mi limito a una barretta alla frutta che, tutto sommato sono leggere e non fanno danni collaterali. 
Prima di arrivare a San Vito Lo Capo, ritrovo Ezio con il quale scambio quattro chiacchiere mentre scendiamo in picchiata verso il primo controllo ubicato proprio a ridosso di una spiaggia affollata di turisti intenti a divertirsi e poco attenti alle nostre facce stanche e sconcertate dal forte caldo.  Qui nasce il primo dei miei cattivi pensieri: ma perché non sono lì con loro a divertirmi anch’io? Preferisco non pensarci e mi reco a timbrare. Qui trovo Silvano bello spaparanzato che sorridente ci accoglie e ci consiglia su cosa ordinare al banco delle delizie ospitate dal bar. Mi affretto a timbrare e ordino subito una bella pizza ultrafarcita, un signor arancino di riso e una birra ghiacciata. Via scarpe, casco, guanti e occhiali: rimango basito dalla voracità con la quale mangio tutto il cibo, per non parlare della birra che sembra evaporare a contatto con la mia gola. Alla spicciolata arrivano anche Silvia e Marco i quali non possono fare altro che concordare sulle avverse condizioni meteo aggravate dal vento caldo. Giusto il tempo di un veloce saluto e ripartiamo alla volta del secondo controllo di Menfi. 
Prima però c’è da superare la lunga salita di San Vito lo Capo che affronto insieme a un piccolo gruppetto di avventurosi di cui fa parte anche Silvano. La salita è davvero micidiale: la temperatura è arrivata a 38 gradi e non vi sono punti di ombra per cercare frescura. Il ritmo è lento, ma dopo un po’ riusciamo a uscire dal budello infernale e ci reinseriamo sulla statale 113 che ci condurrà verso Trapani. 
Se fino ad ora il paesaggio era comunque d’aiuto perché variegato dal susseguirsi di paesini, ora la strada diventava più monotona e arida. Il mare sempre a destra, come ci ha ricordato Totò nel suo briefing, ci ricorda che siamo sulla strada giusta. Nel frattempo Giuseppe è rientrato nelle sue piene facoltà atletiche e comincia a macinare il suo solito passo in stile “turbodiesel”, ovvero costante e senza sbavature. Confesso di averne approfittato un po’ in diversi momenti in cui cominciavo ad avvertire troppo il caldo. 
Raggiungiamo Trapani e il suo lungomare infinitamente lungo e bello: solo spiagge bianche, libere per la maggior parte, e quasi spoglie di turisti. Sono esausto e ho bisogno di una sosta: ci fermiamo in un bar dove mangiamo e beviamo qualcosa di fresco: il sole non molla e altrettanto fa il vento: sempre caldo e contro il nostro senso di marcia. Ripartiamo senza tanti patemi d’animo e poco dopo siamo raggiunti da un altro gruppetto del quale fa parte un oriundo siciliano che per molti anni ha vissuto in Emilia: il suo simpatico mix di accenti e la sua dote di assoluta simpatia sono una bella compagnia. Per lui è la sua prima avventura nel mondo delle rando e confessa tutti i suoi timori per il prosieguo della SNS, compreso i tratti notturni e il tempo a disposizione. Ovviamente cerchiamo di tranquillizzarlo e gli offriamo tutto il nostro supporto compreso la possibilità di viaggiare con noi per il resto della rando. 
Raggiungiamo Menfi alle 6 del pomeriggio: sono sfinito e mi sento letteralmente svuotato. Quello che mi consola è lo stato delle mie gambe che ancora sembrano tenere: merito dell’allenamento specifico, presumo. Il bar che ospita il controllo è gremito di persone che si riparano dal sole torrido che, forse, sembra voler chiudere questa giornata e forse concederci un po’ di tregua. Anche qui mangiamo e beviamo per cercare di recuperare le forze perse a lottare contro il vento. Purtroppo ci rendiamo conto che la media è più bassa del previsto e il controllo di Scoglitti è maledettamente lontano: non credo riusciremo a raggiungerlo in tempo per fare un meritato e piccolo riposino. Comincio a demoralizzarmi: mi rendo conto di aver sbagliato strategia e che forse il controllo di Agrigento sarebbe stato più idoneo per il bag drop: ma con il senno di poi non si costruisce nulla. 
In bagno faccio una mini doccia e cerco di recuperare le energie residue: in cuor mio so che i prossimi km per il controllo di Agrigento non saranno semplici anche perché arriveremo con il buio. Comincio a parlare con Giuseppe della sua strategia e anche lui, che all’inizio aveva paventato la voglia di raggiungere Scoglitti, sembra orientato per una breve sosta di sonno ad Agrigento. Nel frattempo Carlo si è aggregato ad un gruppetto che era partito prima di noi, ma con la promessa di rivederci ad Agrigento. 
Ancora infiniti rettilinei e strade monotone, ma almeno il sole è finalmente andato a riscaldare altre terre portandosi dietro anche il suo compagno fedele: il vento sembrava essersi placato. Strada facendo troviamo un ciclista in evidente difficoltà che approfitta del nostro passaggio e si incolla letteralmente ai nostri parafanghi posteriori senza mai uscire allo scoperto: un po’ mi irrita il suo comportamento, sono sincero, ma il buon Giuseppe, dall’alto della sua saggezza, mi dice che in fondo lui non sarebbe in grado di proseguire da solo e che quindi non abbiamo altra scelta che procedere in questo modo. 
Le sue parole di saggezza sono un toccasana per il mio animo troppo irritato dalla stanchezza e quindi si prosegue tranquillamente verso Agrigento. L’ennesima sosta a meno di 10 km dal controllo è il sintomo che siamo tutti stanchi e che ormai è una necessità fare una sosta per qualche ora di sonno. Orami mi sento completamente rapito dal sonno e quella che era una possibilità è diventata, per me, una certezza: devo dormire.
Sono le 23 quando raggiungiamo il Villaggio Mosè situato su una collina appena fuori Agrigento e proprio a ridosso dei suoi bellissimi templi che ammiriamo splendidamente illuminati. Appena arrivato mi fiondo al buffet; ora che ci penso ero più affamato che assonnato. Pago anche una doccia e un letto. Piango ancora per non avere con me un ricambio pulito, ma non posso esimermi dal fare una bella doccia e quindi mi fiondo nudo sotto le coperte di una brandina situata, insieme ad altre decine, nella discoteca dell’albergo: una sistemazione da vero randagio … molto essenziale. 
E’ Mezzanotte e sono nella mia brandina: guardo le luci spente della discoteca e penso se riuscirò a dormire. Il tempo di fare questo pensiero e gli occhi si chiudono. Solo per due ore, poi impietosa la sveglia è suonata alle due e mezza: io non ricordo null’altro. La parte difficile consiste nel rimettersi i panni sporchi, ma devo farlo! Ritorno al buffet di prima e mangio di nuovo qualcosa di salato per poi passare a una colazione standard: pian piano mi sveglio e prendo coscienza di quello che mi aspetta. 

Mercoledì 13 giugno 2012 (il secondo giorno)

Una delle cose difficili nel mondo delle randonèe così lunghe consiste nel ripartire, non certo nell’arrivare. La ripartenza è la parte più brutta che c’è: il tuo cervello vorrebbe resettare tutto ma il tuo corpo ti ricorda che così non è. Se non si è allenati, questo è uno dei motivi principali dei ritiri, ovvero la presunta incapacità di ripartire. Perché ho usato il termine ‘presunta’? Perché molte delle nostre sensazioni negative che ci inducono a dire “non ce la faccio, basta”, si basano sul nostro stato fisico nel momento iniziale dello sforzo, mentre invece dovremmo lasciare al nostro corpo il tempo necessario per potersi adattare alle ingenti richieste fisiche a cui noi lo sottoponiamo. Quindi, il mio consiglio, è sempre quello di aspettare e vedere cosa succede: in genere funziona ! 
Altro aspetto che può aiutare nella ripartenza è quello di non farla da soli: in genere in gruppo è più facile esorcizzare le paure comuni. Quello che noi pensiamo sia una nostra esclusiva, invece è parte di tutti, anche di quelli che noi riteniamo più allenati e meno soggetti a queste problematiche. 
Nel mio caso sono con Carlo e Giuseppe. Il primo è al suo debutto e, come giusto che sia, è pieno di domande su cosa lo attende e su come debba comportarsi. Il secondo, invece, è il solito pacione taciturno che conosce bene la strada e sa che la costanza in queste manifestazioni è assolutamente fondamentale: barcollare, ma non mollare !!!
Sono le tre del mattino e lasciamo l’hotel Tre Torri alla volta di Scoglitti, dove è ubicato il prossimo controllo e anche il nostro amato bagdrop. I panni sudati della sera prima si sono asciugati ma non sono il massimo della comodità: non vedo l’ora di rivestirmi con i panni puliti. Anche l’olezzo che mi trascino dietro non è proprio quello che si desidera dopo una doccia. 
La notte è ancora regina e il sole non sembra volerci accogliere. L’aria è fresca ma non fredda: siamo sui 18 gradi e questo fa pensare che il giorno che sta per arrivare non sarà migliore di quello che appena trascorso. 
La strada è un susseguirsi di monotoni rettilinei che si alternano a gallerie non molto tranquille. Le mie gambe cominciano a mostrare i primi segni di cedimento e appena se ne presenta l’occasione organizzo una sosta nei pressi di una fontana dove mando giù con fatica una barretta alle nocciole e un po’ di frutta secca. Mi sento demoralizzato perché ho urgente bisogno di un caffè. Fortunatamente arriviamo a Licata dove una bella colazione con crostata di frutta e cappuccino riescono a mettermi in pace con il mondo. Riempio la borsa anteriore con un paio di delizie alle mandorle e ripartiamo alla volta di Gela dove mettiamo in cantiere una nuova piccola sosta. Ormai Scoglitti è alle porte e incontriamo altri randagi che, come noi, avevano il cambio in questo controllo. 
Purtroppo gli animi si raffreddano presto quando ci rendiamo conto di aver superato Scoglitti e di non aver ancora raggiunto l’Hotel Krastalia: infatti la struttura alberghiera si trova a circa cinque km dal centro abitato. Sono quasi le otto quando riusciamo a prendere possesso dei nostri vestiti puliti e ci fiondiamo nuovamente sotto la doccia. Poi ci buttiamo sul buffet che al prezzo di dieci euro ci offriva davvero di tutto: dagli antipasti, ai primi, ai secondi, alla frutta, dolci vari e ogni genere di bibite. Finito il pranzo decidiamo che è ora di cambiare buffet e facciamo una bella colazione: non c’è che dire: qui si mangia bene e la struttura merita di essere rivisitata in altri momenti più tranquilli. 
Ora ci tocca raggiungere PortoPalo di Capo Passero, il secondo vertice del nostro triangolo magico. La strada non cambia e il caldo aumenta: solo il vento sembra dare tregua. Il caldo è così forte che la crema protettiva che avevo applicato poco prima sembrava ribollire e uscire nuovamente dai pori della pelle. Il ritmo è tranquillo e riusciamo a tenere una buona media: siamo in tre e ci diamo regolarmente il cambio, anche se quello che lavora di più è sempre Giuseppe (bontà sua). 
Orami è una regola: ogni 20/30 km bisogna fare una sosta, fosse solo per cambiare l’acqua delle borracce che diventa bollente e imbevibile. A DonnaLucata, sul bellissimo lungomare, facciamo una sosta in una piccola gelateria razziando le sue granite e gelati, serviti da una commessa interessata più ad incassare che a servire. Una cosa buona che ho imparato in Sicilia è l’accostamento di cose un po’ particolari e diverse tra di loro: ad esempio le brioches vuote e le granite sono un’ottima accoppiata perché saziano e rinfrescano. 
Man mano che i km passano, mi accorgo che il ritmo di Giuseppe e Carlo comincia a diventare fuori dalla mia portata e quindi devo decidermi a lasciarli andare: il solo pensiero che per colpa mia debbano rallentare è una cosa che non sopporto. Deciderò il da farsi al prossimo controllo. 
Il tratto finale del viaggio verso Pachino, patria del famoso pomodoro, e poi verso PortoPalo di Capo Passero è più duro del previsto: si tratta si strade desolate, tempestate dal caldo e da un vento che rende complicato mantenere la concentrazione. Anche i cani randagi che sono frequenti da queste parti sono sopraffatti dal caldo e se ne sttanno rintanati all’ombra degli alberi di fico. 
Sento le energie progressivamente calare, però il tono generale della muscolatura è ancora buono e capisco che forse mi basterebbe solo smettere di inseguire Carlo e Giuseppe e proseguire con il mio passo. Vedremo. Per una volta riusciamo a raggiungere un punto di controllo ad un orario decente per pranzare. Sono quasi le tredici ed entriamo in una bella struttura dove c’è un fornito self-service che con nove euro offre un pasto completo. 
Devo decidermi se proseguire con loro: un po’ mi dispiace, ma cerco di dirlo a Giuseppe senza offenderlo, perché questa è l’ultima cosa che vorrei. Lui mi ascolta e capisce la mia esigenza: da buona persona mi ricorda che per lui non è un problema rallentare, ma capisce che la mia è più un’esigenza di restare solo che un vero problema fisico. Riparto prima di loro e passo proprio davanti a quella che, fisicamente, è la punta estrema sud della Sicilia, davanti al vecchio controllo corrispondente al bar Popeye. Qui, nell’edizione precedente arrivammo in tarda serata e ricordo ancora i due piatti di spaghetti con il pesce che mangiai con enorme soddisfazione. 
Già questi pochi km in solitaria mi rimettono al mondo: mi sento meglio e ritrovo quel vigore che sembrava perso: ora non devo seguire nessuno, devo solo ascoltare le mie sensazioni e pedalare di conseguenza. Pochi km dopo vengo raggiunto e superato dai miei compagni di viaggio che mi rinnovano l’invito a viaggiare insieme. Carlo, pur non conoscendomi bene come Giuseppe, ha già intuito che io da solo viaggio meglio e che sicuramente più avanti avremmo pedalato nuovamente insieme. 
I km passano in direzione di Siracusa e, nonostante il caldo la faccia ancora da padrone, con temperature vicino ai 35 gradi, riesco a tenere un buon ritmo alternato da brevi soste per le mie fotografie: la mia cura sta funzionando!!! Dopo un po’ di strada ritrovo Carlo e Giuseppe che, invece, si erano fermati per una sosta e ne approfitto anch’io per acquistare bevande fresche ad un piccolo minimarket situato nei pressi del bivio per la bella città di Noto. Piccola nota per chi crede che questo sport sia uno sport economico: non ho fatto il conto, ma credo di aver abbondantemente superato la spesa di cento euro per tre giorni di bibite e cibarie varie, senza includere i soldi per i pernottamenti e le docce. 
I ragazzi si fermano poco avanti per soddisfare richiami fisiologici e io riparto da solo. La tappa per Siracusa non è lunga e il ritmo comincia ad alzarsi: con meno caldo aumenta la mia prestazione fisica. Ora mi sento davvero bene e riesco a pedalare fino alla città di Siracusa dove arrivo poco prima delle 18, addirittura in anticipo rispetto ai mie due compagni di viaggio che giungono al bar Cavallino Rosso pochi minuti dopo di me, riempiendomi di sfottò: Carlo sosteneva che in realtà lui e Giuseppe rallentavano me!!! Spiritosi! 
La sosta è davvero breve, giusto il tempo di far prendere aria ai piedi che nelle scarpette raggiungono temperature altissime. Voglio arrivare a Catania prima che faccia buio. Al solito riparto da solo e, grazie all’aiuto della traccia GPS, supero agevolmente la città, transitando davanti all’hotel Scala Greca dove, nella precedente edizione, mi ero concesso una ricca dormita… bei ricordi !!! 
Appena fuori Siracusa vengono raggiunto e superato da Giuseppe e Carlo che hanno un passo decisamente superiore alle mie possibilità. La strada verso Catania è un susseguirsi di strade noiose e molto veloci. Prima di giungere nella città etnea occorre transitare nei pressi delle raffinerie di Augusta che sono davvero imponenti e maleodoranti. Appena supero Augusta, cerco di ricordare le parole di Totò Giordano che ci aveva indicato le modalità con le quali avrei potuto evitare di imboccare l’autostrada vietata alle biciclette e teatro, come visto, di controlli e verbali da parte della Polizia Stradale. Cerco di seguire le frecce che portano, prima in direzione di Augusta, e poi verso la piana di Catania. Stavolta la tappa è più lunga però non molto complessa. Prima di arrivare a Catania, mi ricordo di un bar dove in passato mi ero già fermato e mi disseto con una bella Coca Cola fresca, sotto gli occhi attoniti di molti avventori che non capivano il motivo di tanto mio sfinimento. In effetti allo specchio non mi sembrava di avere un bell’aspetto anche se, con il fresco, è come se le energie fossero tornate imperiose. 
Ora il vero problema è il buio che incombe e i pochi km verso Catania mi impongono di non fare altre soste. Anche lo stomaco borbotta, ma devo resistere e quindi mando giù l’ennesima barretta alla frutta.  Sono vicino a Catania e, per chi conosce l’ingresso da Sud della città, sa bene che questo è costituito da un interminabile rettilineo che costeggia, nel tratto finale, l’aeroporto Fontanarossa. Proprio qui, forse per distrazione, sbaglio l’unico incrocio e proseguo bello sparato verso l’aeroporto. L’unico modo per riuscire è allungare di molti km. Ovviamente trovo subito il piano B e, in pieno stile A-Team, metto la bicicletta in spalla e supero due reti e un campo utilizzato da coppiette in ceca d’intimità per guadagnare nuovamente la parallela strada che, invece, conduce al centro cittadino. Uffa!!!
Anche Catania, evoca in me molti ricordi perché, nelle precedenti edizioni, a questo punto del percorso era quasi fatta e mancava davvero poco all’arrivo. Qui, invece siamo a malapena appena poco dopo la metà. In effetti se rivedo la mia tabella di marcia programmata, sono indietro di oltre cento chilometri. Pazienza !!! 
Dentro Catania, individuo subito il bar Etoile D’Or che, pur non essendo un punto di controllo, è pur sempre la migliore pasticceria/rosticceria di Catania e quindi luogo ideale per una cena veloce in previsione di raggiungere il mio secondo bag-drop. Ritrovo Carlo e Giuseppe che stanno finendo di cenare e stavolta raccolgo il loro invito a raggiungere insieme Capo Sant’Alessio anche perché viaggiare di notte in gruppo è meglio e perché tutti e tre abbiamo lì il nostro secondo bag-drop. 
E’ orami notte e quindi ci attrezziamo con giubbini catarifrangenti e lucine varie. I due piccoli faretti di Carlo, già di per se non idonei al compito richiesto, smettono di funzionare. Fortuna vuole che Giuseppe, dinamo dotato come me, ha una signora luce a batteria di riserva. Passano altri dieci minuti e partiamo alla volta di Capo Sant’Alessio che si trova nel tratto di costa che separa Catania da Messina. 
Questo tratto di costa è tra i più duri e belli di tutto il percorso perché è costituito da una serie infinità di sali e scendi con punti di pendenza anche a due cifre. Chi ha detto che la Sicilia è piatta??? In questo frangente si ripete il miracolo: sarà la voglia di raggiungere il meritato letto, sarà il fatto di essersi rifocillati oppure sarà la fresca sera che ci avvolge, ma ormai andiamo davvero forte e neanche le salite ci possono fermare. Io e Carlo tiriamo talmente forte che riusciamo a raggiungere il gruppetto di Silvano che è incredulo e mi accusa di aver assunto qualche strana sostanza dopante, mentre invece il massimo che ho bevuto sono un paio di birre fresche. 
Appena superato Capo Taormina facciamo una sosta per riprendere il fiato e qui ci becchiamo la sonora lavata di testa di Giuseppe che ci accusa di aver alzato troppo il passo: cosa davvero insolita per un brocco come me, che in genere è accusato di aver tutt’altro tipo di problema. Silvano preferisce proseguire con il suo gruppetto: un po’ mi dispiace perché la sua compagnia è davvero piacevole e sono sicuro che le ore notturne sarebbero voltate più velocemente. La strada è lunga e forse lo rincontrerò.
I continui sali e scendi sono una vera tortura: le mie gambe sembrano ritrarsi sempre più, come le corna di una lumaca. Il controllo è sempre più vicino e tutti, in silenzio, serriamo le briglie e stringiamo il morso. Nessuno parla di altre soste: tutti abbiamo l’obiettivo in comune di andare a fare una ricca doccia e dormire. A pochi km dal controllo ritroviamo due simpatici ragazzi che spesso abbiamo incrociato lungo il percorso. Anche loro sono ansiosi di raggiungere il controllo, ma non hanno intenzione di fermarsi: beati loro!!! Qui, le crisi di sonno si fanno pesanti e devo inventarmi cose assurde per farmele passare: mi metto a cantare e lancio qualche mp3 in vivavoce dal mio smartphone. Nulla da fare il sonno la fa ormai da padrone. 
La strada per il controllo di Capo Sant’Alessio sembra non finire mai, sembra che il controllo sia fuori dalla strada principale. Infatti dopo l’ennesima dura salita ci ritroviamo a lasciare la strada principale per raggiungere finalmente il lungo mare di Sant’Alessio, alla fine del quale è ubicato il nostro Albergo. E’ da poco trascorsa la mezzanotte e faccio il mio ingresso nell’albergo. Quasi aggredisco il portiere di notte che si era appisolato sul divano mentre guardava un film in bianco e nero. Il tempo di chiedere una camera con tre letti e mi ritrovo in bagno a fare la doccia. Dieci minuti dopo ho appena il tempo di concordare con i miei compagni di viaggio l’orario della sveglia e poi perdo i sensi. Mi dirà Giuseppe, ultimo a svenire, che sia io che Carlo siamo letteralmente crollati nei nostri letti. Ragazzi che dormita !!! 

Giovedì 14 giugno 2012 (il terzo giorno)

Il programma della giornata, almeno per me è molto semplice: dividere i km restanti in due parti. La prima a Patti e la seconda a Palermo. La divisione non è casuale perché Patti, originario punto di start/finish delle precedenti edizioni, è il mio punto psicologico di “non ritorno” ovvero del raggiungimento del risultato. Sin prima di partire, mi son detto che se fossi riuscito a raggiungere Patti con un congruo anticipo rispetto al suo orario di chiusura avrei potuto considerare fatta la mia terza partecipazione alla prova siciliana. 
Certo non avevo considerato questo forte caldo e il fatto che la partenza sfalsata avrebbe amplificato il mio senso di disorientamento rispetto alle precedenti edizioni. 
Prima di ripartire controllo la situazione di Paolo e Silvia e purtroppo non sono ancora transitati, ma in cuor mio so’ che stanno proseguendo: in quanto a determinazione Silvia è maestra e Paolo non è da meno, anzi !!! 
Invece vedo le bici di Carlos e di Renato che, evidentemente, sono ancora tra le braccia di Morfeo. Meglio così, sono contento che anche loro stiano proseguendo l’avventura. 
E’ ora di ripartire: purtroppo l’albergo non ha il servizio di colazione e quindi scavoo nella borsa e trovo un dolce che avevo acquistato a Catania: non è il massimo della freschezza, ma almeno è ancora commestibile.   
Sono le cinque del mattino e mentre aspetto Giuseppe, noto che l’alba è pronta e tiro fuori la mia macchina fotografica per immortalare l’avvio di quella che pero sia la mia ultima giornata in bici. Il tempo scadrà domani alle 10 di mattina, ma io spero di poter fare a meno di una ulteriore notte in bici. 
Ripartiamo alla ricerca di un bar che possa soddisfare la primaria esigenza della colazione. Il primo bar che troviamo è sprovvisto di brioches. Il secondo non è il massimo in quanto a pulizia e finalmente il terzo è perfetto: pulito e fornito di tutte le delizie che necessitano ad un randonneur. Anche qui la colazione è doppia e mi faccio incartare un dolce alle mandorle da portare nella borsa in caso di riserva. 
Appena inizio a pedale comincio a sentire la gamba destra che è più dolorante della sinistra: probabilmente ho abusato troppo e lei non ha resistito. Non si tratta di crampi, ma di un indolenzimento generale. Il ginocchio sembra comunque reggere e quindi provo ad usare dei rapporti più agili per evitare di aggravare la situazione. La strada verso Messina non è molto lunga e presto arriviamo alle porte della città dello stretto. 
Per chi non conosce Messina, il suo attraversamento da un capo all’altro è qualcosa di davvero particolare: in pratica si pedala per quasi 50 km senza mai uscire dal comune di Messina. I km passano e le mie condizioni fisiche cominciano a degradare nuovamente per colpa del caldo: sono stanco e ho necessità di una sosta. Qualche cattivo pensiero comincia a sfiorarmi nuovamente, ma faccio il distratto e non ci penso …
Giuseppe si accorge delle mie condizioni e, prima di entrare nel centro cittadino, organizza una sosta presso un bar dove approfondisco l’arte acquisita della brioches con granita: accostamento davvero ok.  Durante la sosta esorto Giuseppe nuovamente a proseguire da solo: non c’è la faccio a seguirli. Anche Carlo sembra stanco, ma lui non mollerebbe mai Giuseppe e quindi capisco che io devo rallentare. La promessa è la solita: ovvero quella di rivederci al prossimo punto di controllo.  Giuseppe mi guarda attonito ma capisce: mi conosce bene e sa che non lo faccio per motivi futili. La mia è semplicemente una incapacità di seguire il ritmo di altri, anche se leggermente superiore al mio. 
Alla ripartenza rimango da solo e, con il mio passo mi dirigo verso Barcellona Pozzo di Gotto dove, nel caos cittadino, individuo un venditore ambulante di meloni rossi: mi fermo e gli faccio una proposta indecente: un quarto di melone, sbucciato in un piatto di carta: mi guarda, ci pensa e alla fine da ordine alla moglie di fare quanto chiesto. Mi ritrovo seduto nel pieno centro cittadino, sotto gli occhi attoniti dei passanti a divorare tre megafette di melone con un’ingordigia primordiale. 
Sembro rinato nuovamente, il riposo e il melone hanno contribuito a ridarmi buonumore e ottimismo. Capisco di essere vicino al mio punto di non ritorno e quindi mi affretto a superare gli altri paesini prima di attaccare la salita del Tindari. Ai piedi di questa ardua salita mi rinfresco con una granita di caffè e parto. Strada facendo alcuni ciclisti si affiancano e mi tempestano di domande sulla mia avventura: all’inizio non trovavo le energie per rispondere, ma poi mi rendo conto che, senza volerlo, mi stanno aiutando e mi ritrovo in vista dello svincolo del Santuario. 
L’inaspettato aiuto mi consente di spingere verso gli ultimi km prima di Patti. La lunga discesa e il tratto finale in leggera salita sono come un amarcord per me. Nella prima edizione del 2008, compiuta da vero incosciente, la salita del Tindari fu la prova regina e al suo completamento ebbi davvero la sensazione di aver compiuto un impresa fuori dal comune per un tipo come me. Ora la leggerezza di questo tratto mi faceva capire quanta strada avessi fatto in questi quattro anni. 
Un senso di malinconia mi pervade quando vedo piazza Marconi, senza che ci sia nessuno ad accoglierci per l’arrivo finale della SNS: per un attimo, e solo per un attimo, avevo dimenticato che il traguardo era distante ancora 200km. 
E’ mezzogiorno e il sole scalda da morire: sono nella piazza principale di Patti e mi accingo a timbrare per l’ultima volta il mio cartellino. Sono emozionato: so di essere vicino alla mia vittoria, ma il senso di angoscia di avere ancora 200km da infilare sotto le mie ruote, mi toglie la gioia di godere appieno di questo piccolo traguardo. 
Entro nel bar e sento urlare il mio nome: la voce è quella inconfondibile di Silvano che se ne sta spaparanzato a mangiare nella fresca veranda del bar “Nuovo Ritrovo”. Il suo sorriso, la sua allegra scanzonatezza, sono contagiose e, in men che non si dica, mi ritrovo a bere birra in sua compagnia, dimenticandomi completamente delle mie angosce e delle mie preoccupazioni: mitico !!! 
Ritrovo anche Giuseppe e Carlo che erano arrivati da poco: anche loro sono rimasti colpiti da questa piccola differenza di tempo e mi raccontano delle loro soste forzate, quasi come le mie. Questa è la prova che il caldo non lo soffro solo io. Comunque mangiamo tutti insieme e allegramente trascorriamo mezz’ora di assoluta serenità. Sono questi i momenti indelebili che rimangono nella memoria di ognuno di noi e che rendono speciali queste avventure: non si può descrivere ne pretendere che qualcuno possa capirle: bisogna viverle fino in fondo. 
Quando mi guardo allo specchio del bagno mi rendo conto che la mia faccia è troppo scavata e non ho una bella cera. Oramai sono certo: questi ultimi 200 km saranno infiniti, saranno una vera tortura e non sarà facile mandarli giù. Mi ritornano sempre in mente le parole di un famoso randonneur, il prof. Giaccone di Cuneo, che, proprio nell’edizione del 2008 della SNS, mi disse: non aver paura di mangiare un elefante … basta farlo a fette e non avere fretta. Se a questa aggiungete quella di un anonimo che disse: “”” un km in più è un km in meno””” capirete che in questo punto nessuno dovrebbe mollare.  E io non avrei mollato per nulla al mondo, o quasi ! 
Ultimo atto prima di ripartire, nuovamente insieme a Carlo e Giuseppe, è una sontuosa coppa di granita al caffè con panna: mammamia che buona; una delizia per il palato e per gli occhi. 
Silvano è già partito con il suo gruppetto alla volta di Palermo, non prima di avermi nuovamente e caldamente invitato a viaggiare con lui. Purtroppo il mio fisico è quasi alla fine del suo viaggio e devo recuperare le energie per conservare un comportamento decente nella parte finale del mio viaggio. Il caldo ha contribuito negativamente a consumare le mie energie: le gambe sembrano di legno e in generale ho molte parti del corpo indolenzite tra cui il collo e i polsi. Anche le caviglie non se la passano bene e il resto del corpo è letteralmente bruciato dal sole. L’unica cosa che non mi fa male è il fondoschiena che, grazie alla comodità della mia sella Brooks, se la passa bene e non mostra alcuna piaga. 
In bagno mi concedo una mega rinfrescata e sono pronto per affrontare questa ultima parte del percorso.  Sono quasi le due del pomeriggio quando io, Carlo e Giuseppe lasciamo la piazza di Patti alla volta di Isola delle Femmine: mi aspettano duecento chilometri e venti ore per percorrerli, ovvero una media di dieci km per ora. 
Il primo tratto del viaggio è quello paesaggisticamente più interessante e prevede il passaggio dalla bellissima Capo D’orlando. La strada costeggia il mare e faccio fatica a tenere a bada la mia macchina fotografica: ogni curva è una perfetta cartolina da immortalare. Il ritmo si mantiene tranquillo ma Giuseppe e Carlo hanno una marcia in più. Il caldo è insopportabile e i continui sali e scendi mettono a dura prova il mio ginocchio destro che purtroppo mostra i suoi limiti. 
Alle porte di un piccolo borgo, Piraino, troviamo la strada sbarrata per la presenza di un grande incendio che lambisce la strada che dovremmo percorrere. Ci fanno deviare su una strada secondaria che costeggia il mare. Subito dopo troviamo Sant’Agata di Militello dove effettuiamo l’ennesima sosta presso un piccolo bar dove una signora ci serve due bottiglie familiari di coca-cola fresche al punto giusto. Ci fa sedere al fresco di un piccolo giardino e ci invita a raccontarle la nostra storia: davvero un momento di pace e relax. Provo a massaggiare il ginocchio anche con acqua fresca, ma purtroppo la situazione non migliora. 
Riprendiamo il cammino in direzione di Cefalù ma ormai ho il morale a terra per le condizioni del mio ginocchio: provo a inserire rapporti più agili, ma non ho alcuna possibilità di tenere il passo dei miei due compagni che fanno di tutto per incoraggiarmi. Giuseppe e Carlo abbassano il ritmo per farmi recuperare, ma è tutto inutile. 
Frattanto raggiungiamo Santo Stefano di Camastra dove decido di alzare definitivamente bandiera bianca. Sono le diciotto e improvvisamente sembrano tutti scomparsi: non ci sono più auto, persone o traffico nelle strade. Non riesco a capire finché arriviamo in un piccolo bar dove facciamo una sosta e vediamo il maxi schermo che proietta le immagini inconfondibili della seconda partita dell’Italia: tutto torna ora! 
La sosta a base di birra fresca e pizza margherita è l’occasione giusta per salutare i miei compagni di viaggio: ormai devo arrendermi all’evidenza e tirare il freno a mano. Carlo, al suo debutto nelle over mille, sembra in perfetta forma, Giuseppe, reduce dalla terribile RAE abruzzese, sembra un fresco giovincello, mentre io sono quello che oramai sarebbe buono per un letto d’ospedale. Ovviamente Giuseppe rassicura Carlo che un po’ si preoccupa per me, dicendogli che io non avrei mai mollato e su questo anch’io non avevo dubbi. Quello che non sapevo era come sarebbero state le prossime ore. 
Il telefono squilla: è Totò Giordano che si sincera della nostra posizione e del nostro stato di salute: lo rassicuriamo che tutti e tre non abbiamo alcuna intenzione di mollare; seppur in tempi diversi, arriveremo al traguardo. 
Giuseppe e Carlo ripartono, mentre io rimango a massaggiare il ginocchio con una crema che dovrebbe fare il miracolo; un signore anziano evidentemente non interessato alla partita mi guarda e scuote la testa perplesso: il linguaggio del corpo è inequivocabile e sembra dire: chi te lo fa fare ??? 
Sorrido e telefono a casa per rassicurarli sulle mie condizioni: il più preoccupato è mio figlio che mi incita ad andare avanti , sicuro che poi le cose miglioreranno. Ora il sole sta calando e quindi riparto dopo quindici minuti dalla partenza dei miei compagni. La strada diventa monotona e percorro interminabili rettilinei in direzione di Termini Imerese.  Tuttavia questi lunghi rettilinei mi permettono di far riposare il ginocchio. 
Il nome di questa cittadina mi evoca strani ricordi relativi alle precedenti edizioni. Sinora non ho usato molto il navigatore perché la strada era talmente semplice che non sarebbe servito a nulla. Tuttavia devo togliermi il dubbio su questi strani e angoscianti pensieri e quindi controllo l’altimetria dei prossimi chilometri. Purtroppo quelli che erano presentimenti si dimostrano veritieri e mi accorgo che superare Termini Imerese sarà davvero dura. 
Alle porte della cittadina famosa anche per i suoi importanti insediamenti portuali e industriali mi concedo una sosta in una bar dove chiedo conferma sulla strada che dovrò percorrere: mi confermano che seguendo il roadbook dovrei attraversare Termini Imerese superando diverse ed impegnative salite. L’alternativa sarebbe attraversare la zona industriale ma al prezzo di allungare qualche km. L’esperienza mi dice che il diavolo non è mai poi così brutto come lo si descrive e quindi decido di seguire la strada maestra. 
Purtroppo il diavolo non era solo brutto come descritto, ma era anche tanto cattivo e affronto due salitoni con pendenze davvero proibitive. L’unica consolazione è il sole che orami sta tramontando e che, sono sicuro, non mi colpirà più fino all’arrivo. 
Il ginocchio fa così male che praticamente imparo a pedalare con una sola gamba, risparmiando quella dolorante. In cima ad ogni salita devo fermarmi per sganciare i pedali e far riposare caviglie e ginocchia. 
Orami il sole è definitivamente calato sul mio terzo giorno di bici e devo prepararmi ad affrontare la mia ultima notte. Arrivo a Termini Imerese con una fame da lupo: devo mangiare qualcosa di ‘normale’ e quindi individuo una piccola trattoria con degli invitanti tavolini sulla strada. Il gestore con gli occhi stralunati mi chiede perché sia ancora in giro con la bici a quell’ora della sera: gli rispondo che se mi assicura un piatto di pasta caldo in dieci minuti gli racconterò una storia interessante. 
In men che non si dica, tramite ordini in una lingua a me sconosciuta ;D la moglie prepara un piatto di spaghetti con un sugo a base di pesce e pomodoro che, complice una birra freschissima, mi rimette al mondo. La solita granita al caffè e riparto per il centro di Termini Imerese dove mi aspettano due salite brevi ma talmente ripide da risultare difficili addirittura a piedi. Con la pancia a posto e il riposo della cena, affronto tutto con una ritrovata allegria. 
Mio figlio al telefono mi informa del risultato della partita contro la Croazia e mi rendo conto sempre più che sono tre giorni che vivo fuori dal mondo. Ormai sono a 50 km dal traguardo. Mi impongo un nuovo obiettivo semplice, tanto per non cadere nella monotonia e quindi lo scopo del viaggio è di raggiungere Palermo per il gelato finale, quello che dovrebbe darmi l’energia per raggiungere l’arrivo.  I km scorrono tranquilli e i cartelli che indicano Palermo indicano che il capoluogo di regione è sempre più vicino; tuttavia devo attraversare un paese dal nome molto evocativo: Bagheria. Il pensiero corre alla mafia e a tutte le storie che tristemente connotano un’isola così bella e baciata dal mare e dal sole. In questo momento mi ricordo che questa edizione è stata dedicata proprio ai due giudici trucidati dalla mafia e che, loro malgrado, sono diventati un simbolo indelebile della lotta a questa triste piaga sociale. 
Mentre facevo tutti questi pensieri mi rendo conto che sono finito nel centro di Bagheria e, quindi, ho sbagliato clamorosamente strada. Riprendo la statale con qualche difficoltà a causa di alcuni cani che erano felicissimi di aver finalmente visto un ciclista in quel dedalo di strade buie che costituiscono il loro regno incontrastato. 
Come spesso accade, quando si è vicini al traguardo, i km residui sembrano dilatarsi e ogni pedalata sembra più corta di quella precedente. Unica nota positiva è il ginocchio che sembra essersi ripreso, forse merito del ritmo più blando che ho imposto alla mia marcia. Spero sempre che mi raggiunga qualche altro ciclista della SNS che sta indietro, ma nessuno sembra volermi superare. 
Alle porte di Palermo, a Ficarazzi, mi fermo per l’ultima sosta. La gelateria è affollata di turisti che si sono attardati davanti ad un maxi schermo per guardare l’ennesima partita degli Europei di calcio. La proprietaria mi prepara un maxi cono a base di pistacchio e limone. Una panchina al fresco completa il quadro. Le scarpe appoggiate a fianco del casco, le gambe stese sulla panchina e la bicicletta appoggiata ad un albero: sfido chiunque a voler praticare il ciclismo se questo è l’esempio che trasmetto. 
Mi informo sulla strada da percorrere e controllo la traccia sul GPS: adesso non devo sbagliare strada; sono quasi le undici e devo ancora attraversare Palermo. La strada è in leggera discesa e guadagno velocità con facilità, complice il rinato ginocchio. 
La periferia di Palermo è un caleidoscopio di colori e di suoni dai quali è impossibile non sentirsi coinvolto. Se tutta la SNS fosse contorniata da città come queste sarebbe davvero un gioco da ragazzi farla senza patemi e senza sofferenze. In ogni punto trovi una vitalità che ti sorprende: è quasi mezzanotte ma la gente è ancora in giro e colora le strade e gli angoli più bui e poveri di questa grande città. 
Per non parlare dei profumi del pesce arrostito agli angoli delle strade e dei venditori del piatto tipico palermitano, ovvero il panino con la milza “il pani ca’ meusa” che mi riprometto di mangiare il giorno dopo, a bocce ferme. 
Il centro di Palermo, invece assomiglia un po’ a quello che l’immaginario collettivo si ispira per una città di questa importanza. Il porto turistico è invaso dalla movida e i lunghi viali alberati sono il perfetto salotto dei giovani che vi trovano conforto dopo le calde temperature del giorno appena trascorso.  
Il tratto finale vede l’attraversamento di una zona periferica che attraversano dei freschi boschi. E’ da poco passata mezzanotte e mi ritrovo in una zona un po’ deserta di Palermo, dove si accede tramite una strada in leggera salita. 
Guardo il GPS che indica meno di dieci km all’arrivo e una lunga discesa verso la statale 113 che mi ricongiungerà con il comune di Isola delle Femmine. Qualche figlio della sempre incinta mamma degli imbecilli, mi ricorda che di notte le biciclette non dovrebbero girare: io li guardo con un sorriso stampato in volto e loro non capiscono perché io possa essere felice. Non sanno nulla di quello che ho passato in questi tre giorni e di come si possa gioire per cose così futili. In questi momenti capisci la differenza tra chi ti ignora, chi ti tempesta di domande e chi, come questi giovani altezzosi, ti deridono. 
Si, in questo momento sono felice e triste allo stesso tempo. Forse è facile capire la felicità, ma risulta difficile, anche per me, comprendere fino in fondo quel senso di tristezza che ti invade quando sei conscio di aver quasi completato la tua opera; ti rendi conto che fra poco scenderai dalla bici e tutto si spegnerà. Le sofferenze patite non dovrebbero giustificare questa malinconia ma, evidentemente, c’è dell’altro e forse qualcuno, come ho scritto all’inizio, capirà il motivo di questa vera e propria malattia. 
A quest’ora, nelle due precedenti sere, ero così stanco che mi sembrava di pedalare in tandem con le mie crisi di sonno, mentre ora sono sereno e riposato: la stanchezza sembra essersi stufata di accanirsi su di me e, finalmente, sono tranquillo e libero di pedalare.
La lunga discesa mi riporta, tra il frastuono di giovani orde di ragazzi pronti a entrare in luminose e chiassose discoteche, sulla statale 113, la stessa che avevo imboccato tre giorni prima, dopo l’omaggio alla stele di Falcone, a Capaci. 
E’ quasi mezzanotte quando squilla il cellulare: un messaggio di Silvano che mi annuncia che è arrivato e che mi aspetta per una birra. Giuso il tempo di leggere il messaggio e all’improvviso inizio a sentire uno strano ticchettio: penso a una rottura o qualcosa del genere; sarebbe il colmo a tre km dall’arrivo. Poi il ticchettio si fa più intenso e con un ritmo sempre più veloce. Mi rendo conto che stà …… piovendo, anzi sta diluviando. Il caldo è talmente forte che la pioggia mi cade addosso e viene subito assorbita. Lascia il suo segno solo sulla plastica della mia borsa e sul telaio della mia merlina. 
Pochi secondi e la pioggia aumenta d’intensità, rendendo impossibile e pericoloso proseguire: incredibile ma la visibilità è quasi a zero e le strade si sono subito allagate. Due automobilisti richiamano la mia attenzione e mi invitano sotto una tettoia di un distributore statale, ma io non posso spiegargli che per me questa pioggia è come una benedizione se confrontata con tutto quello che ho patito in questi giorni. Tuttavia accetto l’invito per mettere in sicurezza tutte le mie apparecchiature elettroniche. 
Sotto la pensilina del distributore siamo in tre a ridere come pazzi per questa pioggia che è arrivata senza avviso, senza alcun segno premonitore, senza alcun tuono o lampo. I cinque minuti di sosta servono ai due simpatici automobilisti per la fatidica domanda: “”” da dove vieni, dove sei diretto?””” restano attoniti quando gli dico che arrivo e sono diretto a Isola delle Femmine e loro non capiscono come mai sia così stanco. Poi risolvo loro l’enigma e ancora ho il sospetto che non ci credano. Ma tant’è. 
La pioggia così come è venuta, ci lascia senza preavviso. Solo le strade sono testimoni di questo evento unico e breve: sono allagate e tutto sembra luccicare sotto le luci dei lampioni e dei fari delle auto. 
Proseguo sulla statale 113 sino a quando non arrivo finalmente a Isola delle Femmine: secondo il GPS devo percorrere tutto il lungomare della piccola cittadina per poi ritrovare l’ingresso posteriore dell’Hotel Saracen. 
Tutta la strada che costeggia il litorale è un susseguirsi di locali illuminati con tanta musica assordante e in cui sono stipati tanti ragazzi pronti ad onorare l’ennesima notte di questa estate che sta spingendo prepotentemente per fare il suo ingresso. 
Sono talmente rilassato che mi metto a fischiettare una canzone di Lucio Battisti che parla, guarda caso d’acqua chiara e azzurra … Non vedo il mare ma ne sento il suo odore e, solo ora, mi rendo conto di quanto questo sia stato un mio fedele compagno di viaggio. 
Il caldo ha definitivamente asciugato la mia bici e, alla fine del lungo viale, mi ritrovo l’agognata insegna dell’Hotel Saracen. Arrivo fiondato davanti al cancello chiuso e intravedo uno dei due ragazzi che erano arrivati insieme a noi al controllo di Capo Sant’Alessio e che non avevano fatto la sosta notturna: evidentemente erano già arrivati da molto tempo. 
Mi apre gentilmente il cancello e, senza scendere dalla bici, mi dirigo nella stanza dei controlli dove trovo Silvano, Carlo e Giuseppe che mi raccontano di essere arrivati da circa un’ora e che stavano aspettando il mio arrivo. 
Nella stanza dei controlli trovo due ragazze assonnate e sorridenti che ritirano il mio cartellino offrendomi in cambio frutta fresca, acqua e sali minerali. 
Abbracci e strette di mano sugellano anche questa avventura. Carlo è l’unico che parte per tornare a casa, mentre con gli altri l’appuntamento è rinviato all’indomani per la premiazione e il pranzo di fine rando. 
Al telefono, mia moglie mi racconta che mio figlio ha fatto di tutto per restare sveglio, ma alla fine è crollato dal sonno con il telefonino tra le mani.   
Con Silvano ci prolunghiamo a chiacchierare e tiriamo quasi le due. Mi racconta che lui questa volta si è divertito tanto e che questa SNS gli è servita come valvola di sfogo per cercare di lasciarsi alle spalle un periodo non proprio felice della sua vita. 
Mi informo sulla sorte degli altri ragazzi che devono ancora arrivare e scopro che quelli messi peggio sono Silvia e Paolo, sulla reclinata, mentre Carlo e Renato sono in fase di arrivo. Anche il tandem di Sandro e Maria Teresa è un po’ indietro, ma dovrebbero arrivare nel tempo massimo. Ci sono anche altri tre ragazzi che sono in arrivo. 
Ora non mi resta che una bella doccia e finalmente una bella dormita. 

The day after

Alle otto sono bello che sveglio: mi sparo una nuova doccia e finalmente riesco a radermi la barba di questi giorni. Mi sento stranamente bene e anche le ginocchia sono ok. Diciamo che ho qualche difficoltà ad accovacciarmi, ma alla mia età non c’è nulla di che lamentarsi ;) 
Mi fiondo in un bar che avevo individuato nei pressi dell’Hotel dove è esposto il gota della pasticceria siciliana: finiscono in malo modo due brioches, una tazza di te e un bel caffè. 
Nel frattempo la hall si riempie di reduci della SNS che sono in attesa dell’arrivo degli ultimi. Salvatore Giordano tiene i contatti telefonici con tutti e ci informa sulla loro posizione. Tra una chiacchiera e il racconto dei mille aneddoti legati a questa fantastica avventura, arrivano tutti gli altri accolti da fragorosi applausi spontanei: ultimi eroi che, anche questa notte, invece di dormire hanno pedalato. Hanno le facce stanche ma nessuno di loro evita di sorridere: tutti sono contenti di aver portato a termine il brevetto. 
L’unico che parte prima del pranzo è Silvano: suo malgrado deve seguire i suoi amici in macchina. Il resto della mattina passa nell’attesa del pranzo finale, dove tutti siamo riuniti  a festeggiare e brindare a questo successo. Salvatore Giordano consegna gli attestati per coloro che hanno completato tre o cinque edizioni della SNS e stavolta tocca anche a me. Sembrerà una stupidaggine, ma quella targa è la cosa più bella che un ciclista della domenica come me può desiderare. Al di la di quello che c’è scritto, quella targa testimonia l’impegno fisico e mentale profuso per portare a termine le ultime tre edizioni della mille siciliana. 
Sono arcifelice e brindo con i miei amici, alcuni dei quali sono presenti e altri sono già tra le braccia di Morfeo. La mitica Silvia ormai dorme a tavola e solo per la consegna della targa riesce a trovare la forza per sorridere davanti all’obiettivo dei fotografi. Sembra un personaggio dei fumetti: ha il segno bianco degli occhiali che le hanno risparmiato la pelle intorno agli occhi dalla bruciature del sole, disegnando sul suo volto una specie di maschera da super eroe. Ha tutto il diritto di dormire e, senza disturbarla troppo, alla fine del pranzo saluto tutti e lascio l’hotel in direzione di Termini Imerese dove, in serata, ho il traghetto che mi riporterà a casa. 
Prima di arrivare a Termini mi concedo un pomeriggio turistico nel centro storico di Palermo dove, dopo una lunga passeggiata nei mille vicoli e nei colorati mercatini, mi posso dedicare finalmente al rito del panino con la milza. Prendo informazioni sul miglior locale dove è possibile assaggiare questa specialità e tutti mi indicano un locale di fronte al porto turistico di Palermo. 
Il tipico personaggio dietro al bancone, con il suo accento e il suo rituale fatto di tante gestualità mi prepara il più piccolo dei ‘pani ca’ meusa’ che ai mei occhi è una cosa enorme. Mi siedo su una panchina davanti al porto turistico e osservo la città che passa davanti ai miei occhi sulla strada che costeggia il mare. Chiudo gli occhi e sento il profumo del mare e mi godo un incredibile nuovo sapore che, stranamente, mi attira dal primo morso. Capisco solo ora che in quella pietanza fatta di pane, carne cotta in un particolare sugo aromatico, olio e sale, ci sono anni di cultura e tradizione che non si possono spiegare: se non l’avete fatto provatelo!!!
Ad ogni morso il mio pensiero torna ai mille paesaggi, scorci e paesaggi che ho visto in tre giorni di bici: ogni km scorre di nuovo davanti ai miei occhi come in un film dove il protagonista principale non sono io o i miei compagni, ma il mare, il sole, il fantastico cibo e le persone che ho conosciuto durante i mille e passa km che sono passati sotto le ruote della mia bicicletta. 
E’ ora di ripartire verso Termini e decido di rifare la strada che ho percorso in bici per rivedere quelle salite che tanto mi avevano fatto penare la sera prima.
Mentre la nave parte vedo le luci del porto che si allontano sempre più. L’inevitabile senso di nostalgia è stavolta parte di un sentimento nel quale prevale la voglia di ritornare alla prossima edizione dove farò tesoro dell’esperienza maturata in quest’ultima prova. 
Ringrazio la mia famiglia che mi ha permesso di essere lontano da casa ben cinque giorni, il mio meccanico per aver fatto un buon lavoro di check-up sulla mia bici, la dea fortuna che mi ha permesso di non bucare neanche una volta e il mio nagelo custode che ha vegliato su di me in questi tre giorni consentendomi di tornare integro a casa dai miei cari. 
Mi accomodo in poltrona e finalmente spingo il tasto play sulla mia macchina fotografica: ho oltre 300 foto da rivedere prima di chiudere gli occhi … 

Ciao Sicilia, non ci sarò alla prossima SNS, o almeno spero !!! 

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