sabato 15 gennaio 2011

Ho visto posti meravigliosi. Sicilia No Stop 6 – 20/23 settembre 2010

“”””Ho visto posti meravigliosi …””” Cosa c’è di strano in queste parole? Se avete voglia di leggere questo lungo racconto lo scoprirete pian piano, altrimenti saltate alla fine e leggete la soluzione …
Questa doveva essere la ‘mille’ dell’esperienza. E’ quello che mi ero proposto prima di iniziare a prepararmi per la mia seconda edizione della Sicilia No Stop. In effetti, dopo due Mille e una 1.400, qualcosa devo pure averla imparata. E’ così è stato. Sono qui a scrivere della mia ultima avventura con un filo di soddisfazione per aver terminato la prova in serenità e senza eccessivi problemi. Certo, qualche intoppo c’è stato, ma nulla che la mia esperienza non potesse cercare di risolvere.
La seconda ragione per cui non dimenticherò facilmente questa edizione è l’aver fatto, finalmente, la conoscenza personale della mia musa ispiratrice, ovvero di quella persona che, nel bene o nel male, mi ha introdotto nel mondo delle randonnèe. Lei, in un forum specifico, mi ha risposto di sentire addosso il peso di questa responsabilità, ma io le ho risposto che questo è il prezzo che pagano i “miti viventi”.
La mia breve storia ciclistica deve molto alla “Sicilia No Stop”: è qui che ho sofferto davvero nella prima edizione, ma è proprio in questa terra bellissima che ho capito che “potevo farcela” a migliorare e a superare quelli che, fino a quel punto, avevo definito come i “miei limiti”. Questa edizione ha dimostrato che i limiti si possono superare anche senza particolari doti, ma solo usando la conoscenza e l’esperienza. Insomma se sai come fare, forse le cose sono più semplici.
Leggete il resto ….


Questa volta, il viaggio l’ho programmato con una comoda nave che, partendo da Salerno, arriva direttamente a Messina, a pochi km dalla bellissima Patti. Il costo è contenuto e anche la soluzione alberghiera è caduta su una poco costosa, ma bella, pensione a pochi metri dal mare di Patti Marina. Il mio amico Mariano mi raggiunge a Salerno e partiamo insieme verso la bella Messina. Mentre ci prepariamo per ingannare il tempo del viaggio, intravedo dalle finestre che danno sul ponte, il viso di un amico che non posso non riconoscere: il grande Riccardo, bikers romano dotato di elevate doti funamboliche, che è in compagnia di un grande ciclista laziale, Giuseppe Sabatini (detto Pino). Con Riccardo e Pino ho pedalato in altre occasioni e sempre con bellissimi ricordi. Il primo è l’esempio vivente di come di può amare la bicicletta, mentre il secondo è un grande ciclista, che ricorda tempi passati. Insomma, la sorpresa è grandissima nel vederli sulla stessa nave e quindi quello che doveva essere un lungo e noioso viaggio rischiava di trasformarsi in una bella giornata di allegria.
Le otto ore di viaggio sono letteralmente volate via solo ad ascoltare le storie di viaggio che ognuno di noi condivideva con gli altri, tra mille aneddoti e tanti attimi di vita vissuta sul “cavallo di ferro”. La trascinante ironia di Riccardo, reduce dalla massacrante “1001 miglia”, e la pacatezza dei racconti di Pino, hanno fatto da contorno alla bella giornata di fine estate che caratterizzava i bellissimi paesaggi che si potevano osservare dal ponte della nave. Se il buongiorno si vede dal mattino, allora quest’avventura stava iniziando bene. In perfetto orario attracchiamo a Messina: fa caldo e le previsioni meteo sono davvero incoraggianti. Si prevede, per i giorni della gara, alternanze di cieli coperti e spazi sereni, senza pericolo di pioggia.
Arriviamo a Patti, nel bel mezzo di un sabato sera affollato di ragazzi e turisti che si godono un settembre siciliano davvero stupendo. Non facciamo fatica a individuare una buona pizzeria che precede un altrettanto gustosa gelateria dove lascio il cuore in un pistacchio mai assaggiato così buono. Nonostante sia passata mezzanotte la titolare della pensione ci accoglie con un sorriso e ci porta finalmente verso un morbido letto.
La domenica che precede la randonnèe decidiamo di dedicarla esclusivamente al riposo e alla scoperta delle prelibatezze enogastronomiche. Sveglia, doccia, colazione e … spiaggia: la cosa insolita, almeno per me, è vedere spiagge lunghissime e pulite completamente deserte. Ricordo ancora quest’estate dove un metro di spiaggia era oggetto di contese di altri tempi. Il pranzo è l’occasione per incontrare e scoprire nuovamente le tradizioni sicule. Con Riccardo, Pino e Mariano, decidiamo di visitare il santuario della Madonna di Tindari che sovrasta la zona di Patti e che corrisponde anche alla fine dell’ultima salita del percorso che da domani, e per tre giorni, rappresenterà la nostra unica preoccupazione. Dal santuario si gode una vista a dir poco meravigliosa: fa molto caldo, ma siamo lo stesso felici perché a settembre in genere il meteo è molto variabile e le possibilità di pioggia sono elevate.
Metà pomeriggio: siamo pronti per iniziare l’avventura e ci rechiamo nella piazza principale di Patti, dove troviamo tanti, ma tanti randonneur scalpitanti e pronti per la partenza. Le facce che rivedo sono davvero tante da poterle elencare tutte. Si tratta di vecchi amici o di ciclisti visti in singoli eventi e con i quali, magari, si è condiviso qualche tratto di strada. Il gruppo del “forum-bdc” si riunisce per una splendida foto al cui centro vi è la veterana Micronauta che è unanimemente riconosciuta come un’eminenza grigia del mondo delle randonnèe.
Terminate le operazioni di accredito, Salvatore Giordano ufficializza una voce circolata nei giorni precedenti circa lo spostamento della partenza da Patti a Gioiosa Marea per cause attribuibili alla chiusura di un tratto della statale 113. Il vero problema, però, è rappresentato da un tratto di strada che, partendo dalla deviazione, costringerebbe i ciclisti a salire per oltre un km con pendenze medie del 12/13 % sino a punte di oltre il 20%. Insomma nessuno vorrebbe tagliarsi le gambe quando mancherebbero oltre 1000 km. E’ disponibile un camion per il trasporto bici e un pullman per il trasporto persone. Dopo aver vagliato diverse opzioni, decidiamo di raggiungere Gioiosa Marea con un treno che partendo proprio dalla stazione di Patti, raggiunge Gioiosa Marea in pochi minuti, in tempo per fare una colazione ed essere pronti alla partenza.
La sera prima della partenza, controlliamo le bici e il loro equipaggiamento e decidiamo di andare a cena insieme a Giancarlo e Casimiro, due amici che ci hanno raggiunto da Salerno. Purtroppo per me la mia gastro-enterite che sembrava avermi abbandonato, torna a farsi sentire e si accompagna a forti dolori di stomaco. A cena, quindi, solo pasta in bianco e niente altro. Il morale è davvero a terra: questa malattia è dura a morire e ho davvero paura che torni a farsi vedere durante la rando.
La notte non passa tranquilla: io mi sento meglio, ma il mio socio è agitato. La sveglia è puntata alle cinque, ma lui alle tre e mezza è già in bagno a farsi la barba, poi a vestirsi, poi a sistemare la bici e … insomma … costringe ad alzarmi dal letto. Che stress … eppure è un randonneur di lunghissima esperienza …
L’appuntamento con la colazione è rimandato a Gioiosa Marea, dove la partenza è, per l’appunto, posizionata davanti ad un bar. Il treno arriva puntuale in stazione alle 06:05. L’idea di iniziare una rando in treno è bellissima: siamo tutti nel vestibolo del treno, in testa, con le bici agghindate e sistemate negli appositi alloggiamenti. I controllore ha sgranato gli occhi, al pari degli assonnati pendolari che ci guardavano con aria quantomeno stupita. E’ stato divertente e goliardico trovarsi tutti insieme nel treno, pronti a partire per una grande avventura: forse un modo per scaricare la tensione.
Scesi dal treno, arriviamo nella piazza di Gioiosa Marea dove ci sono già molti randonneur, nonostante manchi un’ora alla partenza. Non faccio fatica a riconoscere Micronauta con la sua bellissima tenuta in puro stile “Bianchi”. E’ un susseguirsi di foto ricordo e di abbracci con i familiari che sono venuti a salutare i partenti. Mi sento tranquillo: ricontrollo di non essermi dimenticato nulla e carico la traccia della prima tappa nel mio GPS. Nota sul percorso: è la mia seconda SNS e la strada non è difficile, ma avere un supporto tecnico da sempre sicurezza. Poi ho caricato le coordinate dei punti di controllo in modo da non perdere tempo per trovarli.
Le vere star della partenza, ovvero quelli più fotografati sono tre partenti su due bici: Riccardo che si presenta con una sgangherata bici a scatto fisso e una coppia in tandem di cui fa parte una ragazza non vedente. La bici di Riccardo è davvero fantastica: un autentico pezzo di ferro con una catena di colore rosso e una ruota senza rapporti e, per di più, con lo “scatto fisso” che, per chi non lo sapesse, è un sistema di trasmissione che ti costringe a pedalare sempre, anche in discesa; senza freni, perché se devi fermarti devi smettere di pedalare. Per me è da folli fare una cosa del genere, ma lui è reduce dalla 1001 miglia e quindi è di sicuro uno ‘tosto’.
Sono le 07:20 e Salvatore Giordano da il via alla manifestazione. Siamo più di cento partenti e vederli tutti in fila fa un certo effetto. Mi ricordo la partenza super veloce di due anni fa che mi tagliò letteralmente le gambe. Stavolta parto piano e in pochi minuti mi ritrovo nelle retrovie del gruppone. Sono da solo, anche se i miei amici salernitani sono tutti in zona. La strada scorre veloce e comincio a prendere confidenza con i pesi della bicicletta.
E’ vero dimenticavo di descrivere la mia bike. Rimedio subito. La bici è una Merlin Extralight in titanio con ruote a 36 raggi molto comode. Della dinamo e del faretto ne ho già parlato. Al manubrio, tramite un sistema Click-Fix ho agganciato una borsa della Vaude dove ho inserito l’abbigliamento per la notte e per la pioggia, articoli per l’igiene personale e cibarie varie. Al posteriore ho posizionato un borsello extra-large della Topeak con tutto il materiale di natura tecnica: tre camere d’aria, levette in plastica, pompa ad aria, sistema di riparazione forature, due pezzi sagomati di copertone, set multifunzione, piolini di ricambio per la catena, adattatore per gonfiare le ruote, chiavi varie, nastro isolante, fascette in plastica e lama di taglierino. Completano il sistema il GPS e il pacco batterie per la ricarica on the road. Il tutto pesa un po’, ma nel complesso la bici risulta stabile e non sbilanciata. Devo solo abituarmi a pedalare più regolare ed evitare di alzarmi continuamente per non sentire la differenza di peso.
Come dicevo la strada è regolare, senza grandi asperità e mi sforzo di restare tranquillo. L’unica incognita è il cielo che si mantiene coperto ma con temperature gradevoli. Pian piano mi sorpassano tutti e mi comincio a rilassare: mi godo il paesaggio e scatto qualche foto. La strada fino a Ternmini Imerese è lunga e non c’è fretta. Se ho fatto bene i calcoli arriverò verso ora di pranzo. Lo stomaco sembra stare bene e non ho dolori, quindi vado spedito. All’improvviso un passaggio a livello ricompatta il gruppo. Siamo davvero tanti. I primi sono circa cinque minuti che aspettano. Davvero curioso vedere tanti ciclisti fermi ad un passaggio a livello: gli automobilisti in coda sono praticamente circondati …
Si riparte e proseguiamo verso Palermo che ci attende con il suo traffico caotico. Ora fa davvero caldo e conto i km che mancano a Termini Imerese perché devo necessariamente mangiare. Faccio fatica a tenere un passo regolare sulle strade sconnesse della città capoluogo mentre evito le auto che sopraggiungono da ogni dove. A Palermo mi concedo una sosta vicino ad una fontanella che è meta di altri randonneur. Lo stomaco comincia a farmi male, a tratti non riesco a piegare la gamba destra perché mi fa male il fianco destro. Potrei prendere una pillola, ma finora sono sempre riuscito a farcela con del semplice riposo. Dopo la sosta va meglio ma la fame si fa sentire e mando giù una barretta alla frutta. Mancano pochi km per il controllo di Termini Imerese. Arrivato nel paese, nonostante la traccia gps mi desse le giuste indicazioni, mi sono distratto e ho inevitabilmente sbagliato strada. Una signora, vedendomi fermo a un incrocio, mi da le giuste indicazioni e, cosa bellissima, mi da il suo ‘in bocca al lupo’.
Il controllo di Termini Imerese corrisponde a un bel parco all’aperto con annesso un bar. I tavolini sono gremiti di ciclisti che divorano panini e gustose granite. Potrei aprire un capitolo a parte solo sulle granite e sui gelati, ma il mio stomaco non sempre mi ha permesso di gustare queste prelibatezze. Individuo i miei amici salernitani che sono quasi pronti per ripartire e becco un tavolo davvero forte: Silvia (Micronauta), Silvano (Parakito) e il Barba che sono belli tranquilli a godersi il sole che finalmente sta facendo terra bruciata delle insidiose nuvole mattutine. Decido di mandare giù un panino al prosciutto, una banana e una coca-cola. La mia sosta è davvero breve, solo dieci minuti e decido di ripartire. Sono ancora dolente all’addome, ma devo ripartire per cercare di capire se posso farcela.
Lascio Termini Imerese e dolo dopo pochi km, ancora alla periferia, sono costretto a fermarmi a causa dei forti dolori. Ormai non posso proseguire. Individuo un prato e mi distendo cercando di rilassare i muscoli dell’addome. In quel momento sono cominciati a transitare nella mia mente cattivi pensieri, perché sapevo che sarebbe stato un calvario continuare a pedalare. Resto quindici minuti e il sole caldo mi aiuta a superare il momento difficile. Riparto, ma devo pedalare molto più piano. Sono sempre da solo e, forse, sono contento di questo: se fossi stato in compagnia avrei rallentato inutilmente gli altri. Io ho sempre sostenuto che le rando lunghe vanno affrontate in solitaria oppure con un partner affidabile e con il quale si è raggiunto un grado elevato di affiatamento.
Riparto dopo una ventina di minuti e vengo raggiunto da Giuseppe Sabatini (Pino) il quale intuisce che c’è qualcosa che non va e si offre di farmi compagnia. Io cerco inutilmente di convincerlo a raggiungere altri randonneur più affidabili di me, ma lui, da vero amico, si rifiuta e si incolla a me. Cerca di tirarmi su il morale e, pian piano, riesco ad alzare la media di percorrenza. In effetti sembra andare meglio, ma dopo un’ora devo fermarmi nuovamente. Questa volta mi fermo a un bar dove mi rinfresco con una granita al limone. Finalmente la crisi acuta sembra essere passata e posso finalmente tenere un passo più allegro. Non esagero con il ritmo perché ho paura di sentirmi nuovamente male. Telefono al mio dottore di fiducia che mi consiglia alcuni integratori a base di fermenti lattici, prontamente acquistati ad una farmacia.
Pino è sempre li e, man mano che il tempo passa, capisco che lui non ha alcuna intenzione di mollarmi. Beninteso: io mi trovo bene con lui e cerco di aiutarlo alternandomi con lui quando la strada permette di allungare un po’ il passo, ma non vorrei rallentarlo troppo. E’ pomeriggio inoltrato e la strada verso San Vito lo Capo è ancora lunga. Raggiungiamo la bellissima Castellamare del Golfo che ci offre il suo panorama e l’occasione per scattare qualche foto. Pochi km e comincia la prima dura asperità del percorso: la colma di Custonaci/San Vito Lo Capo. Proprio nei pressi del bivio di Custonaci riprendiamo gli amici della Ciclistica che sono in compagnia di una procace ragazzona austriaca che li sta tallonando con molta determinazione. I ragazzi, con il loro inglese maccheronico, cercano di consolare la ragazza che in salita è un po’ in difficoltà, ma in discesa non ha rivali. I ragazzi si comportano da veri cavalieri e rallentano il passo quando la ragazza austriaca rallenta un po’.
Raggiungiamo il controllo di San Vito lo Capo, ormai a serata inoltrata. Arrivo davvero stremato: le energie perse a causa dei problemi allo stomaco hanno inciso molto, ma il morale è alto e quindi decidiamo con Pino di mangiare qualcosa e di ripartire alla volta di Marsala dove ci attende una doccia e un caldo letto. Pochi minuti ed arriva anche Riccardo con la sua bici a scatto fisso. E’ stanco anche lui (e ci credo). Gli offriamo la nostra compagnia, ma lui decide di andare a dormire in uno dei vicini pedalò parcheggiati a bordo della spiaggia. Non facciamo fatica a credere alla sua stanchezza, quindi lo lasciamo andare a riposare.
La strada parte subito in salita e io e Pino, entrambi dotati di gps, non abbiamo difficoltà ad orientarci correttamente nel dedalo di incroci che sembrano condurre tutti a Trapani, ma ognuno per una strada diversa. Riprendiamo la strada principale e siamo diretti verso Marsala senza più problemi di sbagliare strada. Lungo il percorso veniamo superati dai ragazzi della Ciclistica che, seppur ripartiti prima di noi, avevano preso una strada sbagliata nell’attraversamento di Trapani. E’ notte, ma non ho sonno: l’adrenalina e i giorni di riposo forzato danno il loro vantaggio. Pino vorrebbe fermarsi a Marsala per dormire, mentre io, d’istinto, vorrei proseguire sino ad Agrigento. Tuttavia mi ritornano in mente i buoni propositi di inizio rando e mi dico: che fretta c’è? Mi sparo tre ore di sonno e poi riparto.
L’ultimo tratto verso Marsala lo affrontiamo tutti in gruppo anche perché alcuni di loro non volevano sbagliare ancora strada e quindi si sono affidati ai nostri gps per rintracciare subito la sede dell’albergo. Le stanze erano state prenotate da Giancarlo che ha opzionato i posti letto per me e Pino in una quadrupla. Appena in camera mi sparo una doccia e mi infilo sotto le coperte. Devo dormire anche se non sarà facile: non ho molto sonno, ma sono molto stanco e quindi anche solo tenere gli occhi chiusi sarà utile per ricaricare le batterie. E’ quasi l’una quando chiudo gli occhi. La sveglia è puntata alle quattro e quaranta. La notte purtroppo è frustrata da uno di noi (non dico il nome) che russa in maniera pesante. Infilo le cuffie dell’ipod nelle orecchie, ma non riesco a superare il volume della segheria artigianale. Diciamo che un paio d’ore riesco a farle dormendo.
Suona la sveglia e ci catapultiamo giù dove troviamo le nostre bici ancora intatte ;) La ricerca di un bar è una specie di caccia al tesoro. Appena individuato scatta l’operazione saccheggio: due brioche, cappuccino e caffè. Ho paura per il mio stomaco, ma la fame è davvero tanta e tutto sembra procedere bene. Le gambe fanno fatica a ripartire, ma i veri problemi li avverto ai polsi. E’ probabile che per alleggerire i dolori addominali abbia tenuto una posizione poco corretta. Stringo i denti e aspetto che il sole ci torni a riscaldare. Io e Pino abbiamo lo stesso modo di pedalare: senza fretta e con tanta voglia di divertirsi. Perciò ogni sosta, ogni motivo per fare qualcosa di diverso dal semplice pedalare è sempre una cosa che ci accomuna. L’unica cosa che mi rende un pelo nervoso è il fatto che vorrei arrivare a Siracusa in tempo per poter dormire decentemente. Il mio grande nemico, il sonno, credo che oggi mi verrà a bussare.
Seguendo il roadbook, costeggiamo Mazara del Vallo e Campobello di Mazara. Non sono ancora le sette del mattino, non è ancora giorno quando incontriamo Paolo Martini che, ai bordi di una strada, immersa nel nulla, sta addentando un arancino al ragù di proporzioni Bibliche. Ci fermiamo per la foto di rito e ci stiracchiamo i muscoli per qualche minuto. In quel momento sopraggiungono tre simpatici ragazzi di Modena che stavano pedalando ininterrottamente dalla partenza, senza dormire, perché si erano fermati a fare il bagno a Palermo e avrebbero fatto la loro prossima sosta alle terme di Sciacca. Insomma ci hanno raccontato che il loro sogno era quello di pedalare e dormire sempre in riva al mare o su un lettino in piscina: dei veri fenomeni. Ripartiamo insieme, ma poi ci dividiamo lungo il percorso. Ci stiamo avvicinando al mare e alle stupende località di Sciacca e Menfi. Qui si costeggia il mare: il paesaggio è più brullo e monotono, ma, in compenso, il vento è a favore e riusciamo a pedalare in tranquillità. La tappa per Agrigento è molto lunga, oltre 100km e io non voglio mangiare barrette, così individuo un bar/rosticceria che ci delizia con degli ottimi prodotti da forno a base di verdure e melanzane.
Lo stomaco finalmente non si fa più sentire e quindi proseguiamo a ritmo più spedito. La compagnia di Pino è fantastica: sempre discreto, mai invadente e, soprattutto, un grande pedalatore che spesso e volentieri si alterna con me. La fame aumenta e Agrigento non arriva: forse proprio perché le cose, laggiù, vanno meglio, il mio organismo sta reclamando il dovuto. Purtroppo questa è la tappa più dura perché prevede un continuo susseguirsi di sali e scendi interminabili. Una breve sosta per un cornetto ed un caffè aiutano a proseguire. La stanchezza comincia a farsi sentire e già so che in serata sarà veramente dura tenere la concentrazione. Intravediamo i templi di Agrigento che è quasi ora di pranzo. Ora che ricordo: ho dimenticato di dirvi una cosa. Nella precedente edizione della SNS, la partenza è avvenuta in tarda serata, alle 21. Quindi, ora, partendo di mattina è come se stessi vedendo, per la prima volta, posti e luoghi che, nella precedente edizione, non avevo visto a causa della percorrenza nelle ore notturne. I templi di Agrigento, due anni fa, li avevo solo immaginati anche perché erano le due di notte e forai la ruota posteriore proprio a due km dal controllo (una fortuna … )
Anche in questo caso la traccia GPS programmata in precedenza, ci porta diritto verso il controllo che è situato nel quartiere “Villaggio Mosè” alle porte di Agrigento, in direzione di Licata. L’hotel è maestoso e al suo interno, nelle sale adiacenti alla hall, è in corso un importante convegno letterario. Gli astanti, tutti in giacca e cravatta, ci guardano in modo curioso (così per dire…) e noi cerchiamo di fare meno chiasso possibile. Qui l’organizzatore ha previsto la possibilità di gustare una colazione fredda a base di affettati e formaggi al costo di dieci euro. Il receptionist ci timbra il cartellino e, forte di una certa esperienza, ci invita, cordialmente, a provare le delizie di un ristorante self-service posto a meno di un km dall’hotel dove è possibile gustare ottimi piatti caldi. Premesso che noi non avremmo mai buttato giù nulla di freddo, accettiamo comunque l’invito, lasciando intuire all’addetto di aver capito la situazione di imbarazzo in cui si sarebbe trovato se avessimo attraversato tutta la hall e le sale dove si teneva il convegno letterario. Lasciamo l’hotel e, in meno di un minuto, siamo già dentro il self indicatoci dal portiere. Il posto è già meta di altri ciclisti tra i quali i nostri amici della Ciclistica che ci raccontano di aver ricevuto lo stesso medesimo invito. Tuttavia il consiglio è positivo perché la scelta di piatti è davvero vasta e il tempo di attesa minimo. Nell’ordine vanno via: un piatto di verdure miste, pasta e macedonia di frutta fresca. Pino si spara anche un piatto di pollo al forno con patate … (salute !!!) Mi faccio incartare anche un arancino di pasta e dopo mezz’ora siamo belli che pronti.
Sia io che Pino scopriamo di avere lo stesso modo di gestire le soste, ovvero quello di non farle troppo lunghe privilegiando magari qualche ulteriore stop in più. Decidiamo quindi di dirigere verso il prossimo controllo programmando due soste. Appena fuori Agrigento la strada si impenna ancora: è vero non sono salite dure, ma il caldo e il peso della borse non aiutano. Ora la velocità è più tranquilla anche perché tutti e due abbiamo realizzato che è buona cosa preservare energie per la sera, quando si dovrà pedalare di notte per raggiungere l’hotel di Siracusa. Arrivati a Licata mandiamo giù una bella granita al caffè con panna. Il lauto pranzo mi ha fatto effetto e non ho fame, anzi le energie tornano e la pedalata è bella tonda. Questa volta sono io che sprono Pino il quale mi guarda e sorride soddisfatto della mia condizione fisica e contento di non vedere le smorfie di dolore sul mio viso. In questi momenti si parla e ci si confida: gli confesso che avevo paura di ritirarmi dopo il controllo di termini Imerese e lui mi conferma che aveva paura che questo sarebbe accaduto.
Lasciamo Licata e mentre chiacchieriamo ci domandiamo dove e come sta il nostro amico in comune Riccardo (ricordate quello che è partito con la bici a scatto fisso!). Solo pochi km e, gioco del destino, lo troviamo che pedala a ritmo lento davanti a noi. Lo raggiungiamo e subito intuiamo che c’è qualcosa che non va. Ha una faccia mogia e triste e non sorride. Da quando lo conosco non l’ho mai visto triste. Proseguiamo un po insieme, ma poi ci fermiamo in uno slargo appena fuori Licata e capiamo che non c’è la fa più, ma non per le gambe bensì per i polsi. Se guardate la foto che ho postato della sua bici, vi renderete conto che il manubrio è davvero piccolo e poco ergonomico per un ragazzone alto un metro e novanta. Forse un errore di valutazione del mezzo su una distanza così lunga, non so! Gli offriamo conforto, cibo e acqua, ma lui è quasi deciso a fermarsi, a gettare la spugna. Insistere è un dovere, ma lui, a un certo punto, mi dice: “”” Pino, non mi diverto più “”” . Da uno che, il mese prima, ha finito in leggerezza una gara massacrante come la 1001 miglia, non posso replicare. Il consiglio è quello di provare a riposare nella vicina Gela e tentare una ripartenza. Pino vorrebbe restare e io non mi oppongo, ma anche lui capisce che Riccardo ha già preso la sua decisione. Proseguiamo per Gela e qui notiamo un negozio di bici, posizionato proprio lungo il percorso. Facciamo lo stesso pensiero: telefoniamo subito a Riccardo dicendogli dell’esistenza del negozio e della possibilità di cambiare il manubrio. Purtroppo lui ci conferma che non ha alcuna voglia di proseguire e che domani sarebbe ripartito per Messina con un pullman.
Con il cuore triste ci fermiamo per un ‘gelato a Gela’ e qui veniamo raggiunti da Sandman, (Salvatore) un giovanissimo ragazzo, poco più che ventenne che, nella scorsa edizione, patì il caldo torrido e il vento africano, già fiaccato da una influenza non curata. Suo malgrado mollò a San Vito lo Capo. Quest’anno, già su un forum tematico, aveva annunziato la sua ferma intenzione di portare a termine la rando. Nei suoi occhi c’era una tale determinazione che nulla lo avrebbe potuto fermare. Gli offriamo un gelato, ma lui non vuole fare una sosta molto lunga e riparte in solitaria. Io e Pino decidiamo di pianificare il resto del percorso e quindi facciamo due conti. Se le cose vanno come devono andare, saremo a Siracusa a notte fonda, quindi tanto vale fare le cose con calma.
Ripartiamo verso Ragusa e verso il punto di controllo di Donnalucata. Confesso che questo nome non mi era nuovo e che l’avevo già associato a qualcosa di culturale. Strada facendo, nel tanto tempo libero che avevo ;) , finalmente le mie meningi partoriscono la risposta: le spiagge di Marina di Ragusa e di Donnalucata sono le location scelte per la realizzazione degli esterni della casa del Commissario Montalbano. Ovviamente una breve sosta è d’obbligo e anche una foto di rito. Gli ultimi km verso il controllo li facciamo più spediti del solito perché sta facendo buio e vogliamo fare una sosta per attrezzarci bene per le ore notturne. I centri di Marina di Ragusa e di Donnalucata sono due gioielli di storia e cultura, ancora affollati di turisti che si godono uno dei tratti di costa più belli e selvaggi di tutta la Sicilia. In questo parte dell’isola le spiagge sono lunghe km, senza stabilimenti e senza sporcizia, tutte con una sabbia bianchissima e un acqua cristallina: insomma, un vero ‘must have’ per gli amanti del contatto con la natura. All’arrivo al controllo veniamo accolti da un ragazzo che si intuisce subito essere un ciclista esperto in quanto parla subito, con piglio tecnico, delle nostre bici e delle nostre attrezzature. Scopriamo essere un reduce della PBP e di altre grandi avventure. Il bar del controllo, purtroppo è quasi sprovvisto di cibarie: la commessa ci dice che i nostri colleghi hanno fatto man bassa di tutto. Mi guardo intorno e individuo un negozio di frutta. Svuoto la borsa anteriore e la riempio di uva, prugne e pesche. Pino mi guarda stupito: “”” ma mangi tutta quella frutta? “”” Lo capisco, ma io senza mangiare non posso stare. Tenete conto, poi, che il prossimo controllo di Portopalo di Capo Passero è a ‘solo’ 60 km e li c’è un bel ristorante che ci aspetta. Le mie condizioni sono buone e anche Pino mi sembra ok, ma il fatto che stia arrivando la sera, rende un po’ più triste le nostre facce.
Ci addobbiamo con tutto il materiale rifrangente a nostra disposizione e accendiamo le luci. Non indossiamo nessun giubbotto o altro per coprirci: fa un caldo gradevole e si pedala con la luna piena in assenza di vento. Programmiamo una sola micro-sosta prima di Pachino, dove ci sarà da salire un po’. Appena fuori Donnalucata veniamo raggiunti da un simpatico e minuto signore di mezz’età, Gianni che, reduce dalla 1001 miglia, è alle sue prime armi nel mondo delle rando, venendo dall’ambiente delle granfondo. E’ lombardo e si trova in Sicilia da solo senza roadbook e senza la minima idea di dove andare. Davvero non capisco come abbia fatto ad arrivare sin li. Comunque si capisce che vuole aggregarsi a noi e, per me, non c’è problema. Pino è molto più silenzioso di noi e si mette davanti a tenere il ritmo. Dietro io e Gianni chiacchieriamo delle precedenti esperienze e, così facendo, ci dimentichiamo di fare la sosta di Pachino. Io mangio frutta, Gianni parla e Pino ha voglia di arrivare. Tre luci nella notte approdano alle porte di Pachino. Qui decidiamo di seguire la nostra traccia GPS e di non passare dentro il paese, per evitare il traffico serale. Proseguiamo in direzione di Portopalo di Capo Passero. Prima di arrivare diamo uno sguardo agli orologi e capiamo che saremmo arrivati al controllo verso le dieci di sera, ma che non saremmo potuti ripartire subito: non facevamo un pasto decente da Agrigento. Gianni mi racconta, tra l’altro, che non dorme dalla partenza. Vista l’età non mi sento di ammonirlo in maniera diretta, ma mi rendo conto che non ha tenuto una condotta corretta. Mi ha anche detto che non mangia nulla da Agrigento, e con nulla intendo proprio ‘niente’. Storcendo il muso, lui mi da ragione, ma di fatto rischia di non terminare la rando.
E’ fatta: poco dopo le venti siamo al ristorante Popeye di Portopalo. Ritrovo gli amici della Ciclistica che erano arrivati da circa mezz’ora. Anche Gianni è d’accordo a mettere i piedi sotto un tavolino. Mentre aspetto la cena, faccio una tappa nella toilette per una rinfrescata generale. In pratica riesco a farmi una semi-doccia. La pizza con gli spinaci (ristorante Popeye ???) è un toccasana e la birra fresca fa da contorno. Capisco che la birra potrebbe essere pericolosa per l’effetto sonno, ma ho bisogno di ricaricare le batterie. Purtroppo, quello che avevo previsto accade: Gianni sta male, non riesce a mandare giù neanche un boccone di pizza. Il cuore batte a mille e lo stomaco è dolorante. Evidenti sintomi di mancanza di sonno e scarsa alimentazione. Cerchiamo di capire il livello di gravità, ma, pochi minuti, e lui da qualche segno di recupero. Tuttavia è davvero allo stremo e non può proseguire. A pochi metri dall’albergo c’è un ottimo hotel che gli consigliamo di visitare. Si capisce che lui ha paura di restare da solo, ma gli spieghiamo che devono ancora passare molti altri randonneur e che avrebbe sicuramente trovato un gruppo a cui accodarsi. All’arrivo ho saputo da Parakito che Gianni ha proseguito, per l’appunto con lui e con Micronauta, sino al traguardo.
Ritornando a noi: la pizza, la birra e la mezza doccia hanno fatto bene. Io e Pino dobbiamo fare ancora altri 60 km per arrivare a Siracusa e finalmente appoggiare la testa su un bel cuscino morbido. Mentre stiamo per ripartire arriva a Pino la telefonata di Rolando che sta per arrivare a Siracusa. Pino e Rolando sono grandi amici e quest’ultimo vorrebbe pedalare con Pino da Siracusa sino all’arrivo. Pino non fa capire la cosa, ma io intuisco che lui non vuole lasciarmi solo e quindi, devo escogitare qualcosa per fare in modo di poterlo far ripartire con l’amico Rolando. Abbiamo tre ore di bici per Siracusa e quindi dovremmo arrivare tra le due e le tre di notte. Rolando e Pino si mettono d’accordo per ripartire verso le sei di mattina. Io, per davvero, non me la sento; vorrei dormire un qualche ora in più. Lo faccio presente a Pino e lui, insiste, e mi dice: “”” non ti mollo, partiamo quando vuoi tu! “”” Caspita che testone !!!
La strada per Siracusa non è molto difficile, ma comunque impegnativa perché la notte è comunque pericolosa. Qualche cane si avvicina un po’ troppo a Pino che ha una paura matta degli amici a quattro zampe. Io ci sono già passato: mi ha morso un cane quando avevo quindici anni; ne porto ancora i segni, ma da allora non ne ho più avuto paura. Pino si interroga sul mio stato di sonno, ma io mi sento davvero bene: ho solo un indolenzimento strano ai polsi che non ho mai avuto. Cambio spesso posizione, faccio esercizi di stiramento, ma non cambia molto. Nei pressi di Avola c’è un bivio sul quale io e Pino dissentiamo. Entrambe le strade portano a Siracusa, ma solo una passa per il paese. Un mio amico di Avola si era tanto raccomandato di passare dal paese, ma oramai era notte fonda e non sarebbe stato lo stesso che passarci di giorno. Mentre discutiamo arrivano i due ragazzi sul tandem, scortati da Salvatore (Sandman). Anche loro concordano con noi e, quindi, a mio malincuore, tiriamo diritti per l’esterno del paese, posto a pochi km da Siracusa.
La città greca di Siracusa sarebbe stata oggetto di una visita, ma quando entriamo nell’abitato ci rendiamo conto che non sarebbe possibile visitare alcunché. Prima di lasciare Portopalo di Capo Passero avevo prenotato una stanza all’hotel scelto dall’organizzazione per il controllo. Quando arriviamo a Siracusa ci rendiamo conto che l’hotel è posizionato al lato opposto della città in direzione di Catania. Senza la traccia gps sarebbe stata davvero dura trovare l’esatta ubicazione dell’hotel. Infatti gli amici della Ciclistica, il giorno successivo, mi racconteranno di aver qualche difficoltà nel raggiungere l’hotel. Poi, quando sopraggiunge la stanchezza, le difficoltà assumono dimensioni spropositate.
Il mio ginocchio destro: storicamente il mio punto debole. Soffre la stanchezza e ha tutte le ragioni del mondo. Stiamo per completare 400km no stop ed è tutta la sera che sta facendo le bizze. Il dolore è sopportabile, ma è sostenibile ancora per pochi km. Conoscendo il mio ginocchio, so che la medicina migliore è lasciarlo riposare qualche ora, perciò mi convinco che una ripartenza così repentina, come quella organizzata da Pino e Rolando, sarebbe oltremodo deleteria per la mia articolazione.
Alle due e trenta del mattino, siamo davanti alla reception; timbro il cartellino e mi fiondo in camera dove mi butto sotto una doccia fortemente desiderata. Prima di appoggiarmi sul letto, riesco a convincere Pino del fatto che sarebbe dovuto ripartire con Rolando anche perché ho il ginocchio malandato. A malincuore Pino accetta e punta la sveglia alle cinque e trenta. Io invece metto la sveglia alle sette e quaranta. E’ l’ultima cosa che ricordo di aver fatto; immediatamente dopo sono svenuto senza neanche salutare Pino che era sotto la doccia.
Come un trapano, la sveglia mi catapulta nel mondo reale. Mi rendo conto che Pino non c’è e che io ho dormito quasi cinque ore senza muovermi, ancora con la mano rivolta al comodino. Beh, per lo meno mi sento fresco e riposato. Per sicurezza faccio un’altra doccia e mi catapulto giù nella hall alla ricerca di una colazione. Purtroppo non è rimasto molto da mangiare perché, come al solito, i ragazzi, partiti prima di me, hanno fatto man bassa: li capisco! Saluto tutti e riparto da solo verso Catania. Prima, però lascio il segno in un bar, sotto gli occhi stupiti di un barman che mi vede trangugiare di fila: due brioche alla marmellata, un latte macchiato e un caffè. Inoltre opziono due saccottini da asporto (non si può mai sapere).
La mattina è bella, ma le previsioni meteo comunicate da mia moglie, via telefono, non sono positive: si parla di peggioramento delle condizioni meteo nel pomeriggio/sera. La cosa consolante è che il maltempo è previsto solo per oggi. Il tempo limite scade alle 10 di giovedì e quindi ho più di 24 ore per completare i rimanenti 270 km. La scorsa edizione fu un vero martirio raggiungere Catania, a causa di una strada statale che, senza preavviso, si trasforma in autostrada senza pedaggio assolutamente preclusa alle bici, per ovvi motivi. Lo stesso organizzatore ha cercato di frecciare le giuste direzioni nell’ultimo incrocio disponibile. Io, per sicurezza, prima di partire ho caricato sul GPS la strada giusta e non ho avuto difficoltà a proseguire. Ho evitato di prendere la superstrada, ma non posso dire che altri abbiano indovinato. Infatti mentre attraversavo un cavalcavia che mi portava sulla viabilità ordinaria ho intravisto tre ciclisti che stavano andando diritti in autostrada. Ho provato ad urlare loro qualcosa, ma non mi hanno sentito. All’arrivo ho saputo da Salvatore Giordano che tutti i suoi cartelli erano stati rimossi. Spero che nelle prossime edizioni gli organizzatori trovino una valida alternativa a questo tratto davvero terribile.
Il ginocchio sembra avermi lasciato in pace e mi avvicino a Catania con passo spedito. Tuttavia qui c’è una nuova variante al percorso dovuta alla chiusura del ponte Primo Sole che mi costringe ad una deviazione di ben 18 km. Tutti pianeggianti, vero, ma su tratti molto sconnessi. Arrivo nel centro di una affollata Catania, proprio nei pressi un colorito mercato della frutta. Tra bancarelle di frutta e auto parcheggiate in modo selvaggio, per raggiungere il bar L’Etoile D’or ho dovuto letteralmente alzare la bici e trasportarla per molti metri. Timbro il cartellino e faccio il pieno di frutta (qui costa davvero poco). Sono nel centro di Catania, proprio alle spalle della bellissima Piazza Duomo. Mi dirigo per il centro di Catania e mi siedo al fresco di una bellissimo monumento a gustarmi la mia frutta. Un turista tedesco incuriosito si avvicina e mi chiede il permesso di scattarmi una foto … (curioso lui oppure io?).
E’ ora di ripartire, mi aspetta il tratto più duro della giornata, ovvero quello che collega Catania a Messina. Sono oltre 100 km di continui sali e scendi. Prima di lasciare Catania, mentre stavo percorrendo una strada che costeggiava il porto, mi sento chiamare con un fischio. Un tipo corre da un bar e mi invita a prendere un caffè con lui. Mi racconta che ha visto passare molti randagi prima di me e che, da ciclista vecchio stampo, era molto curioso di sapere cosa stessimo facendo. Ovviamente gli racconto tutto e mi godo un caffè davvero super. Davvero simpatico: ovviamente siamo diventati amici su facebook !!! La strada parte subito con i suoi sali e scendi tremendi. Non è ancora ora di pranzo, ma progetto di mangiare qualcosa verso Taormina. La statale segue il verso della costa passando letteralmente ‘sopra’ i vari paesi; per poterli visitare bisogna lasciare la statale, scendere sulla costa e rientrare di nuovo sulla strada principale. Mi dispiaceva davvero di non poter visitare qualcuno di questi fantastici borghi e quindi, ogni tanto, mi fiondavo giù per vedere il mare. In una di queste deviazioni, mi accorgo che il display della mia macchina fotografica è partito: non posso più vedere cosa scatto, nonostante la macchina sembri funzionare. Che guaio !!!
A danno, si somma danno … Il cielo è ormai coperto di nubi che stanno cominciando a tingersi di scuro. D’istinto alzo il passo, ma poi mi rendo conto che non serve a nulla: il tempo c’è, quindi meglio conservare le energie e pensare al pasto principale della giornata. Appena superato i bellissimi posti di Giardini di Naxos e Taormina, individuo, grazie all’aiuto di una persona del posto, una bella gastronomia dove mi rifocillo per bene. Dopo il pasto mi sdraio su una panchina e cerco di fare un pisolino. Dopo alcuni minuti, anticipati dal suono di diverse ruote libere, vedo passare i miei amici della Ciclistica Salernitana che evidentemente hanno fatto anche loro qualche sosta supplementare, visto che li avevo davanti.
Decido di ripartire e dopo pochi km li raggiungo. Scambio qualche chiacchiera con loro e mi spiegano tutti i problemi che hanno avuto nell’individuare la strada corretta tra Siracusa e Catania. Anche le loro fonti sono concordi nel dire che il tempo potrebbe peggiorare. Tuttavia nessuno si aspetta quello che accadrà di li a poco. Ancora a digiuno decidono di fermarsi a mangiare e io, ormai già sazio, decido di proseguire verso Messina. Le salite continuano, anzi diventano sempre più dure. Una di queste, quella di Capo Sant’Alessio è davvero tosta, con pendenze elevatissime. Alla colma inizia una discesa altrettanto ripida che conduce ad un bivio dove intravedo il mare, delle panchine e un bel chiosco. Senza pensarci devio con la scusa di prendere un caffè. Devo rifornire le borracce e la signorina del chiosco (incinta tantissimo;) si offre di farmi gustare una sua specialità. In pratica mi riempie le borracce così: due quarti di granita al limone artigianale, un quarto di acqua liscia e un quarto di acqua gassata. Le agita per bene e mi dice di berle tra qualche minuto, giusto il tempo che il tutto si amalgami bene. Parlando ho scoperto che il marito è un ciclista e che lui apprezza molto questa bibita. In effetti lo zucchero della granita e la freschezza dei limoni mi hanno dato un’energia tale che mi sono ritrovato a Messina in men che non si dica (potenza della gentilezza e dei limoni siciliani …). Grazie al GPS individuo subito il Bar dello Stretto, dove la signora del bar, con molta gentilezza, mi obbliga a consumare qualcosa (le sembrava strano, forse, che non avessi fame). Mentre sono seduto fuori al bar a far mente locale su quello che mi aspetta, durante gli ultimi 90 km, devo fare i conti con il meteo. Il cielo si sta chiudendo sempre più e le strisce di sereno sono sempre meno presenti. La gente del posto mi conferma che di lì a poco pioverà.
In quei frangenti, mentre sono steso sulle sedie del bar, arriva Carlo e la sua Band. Carlo è arcicontento perché su un giornale locale è apparso un articolo che parla della SNS e della sua presenza. Lui è originario di un paesino della provincia di Messina, Novara di Sicilia, ed è molto orgoglioso di poter concludere la prova proprio nella sua terra natale. La loro sosta dura ancora un po’ e io riparto, certo del fatto che mi avrebbero ripreso per strada. Messina è una città molto vasta e, dopo venti km eravamo ancora nel suo comune. Comincia a piovere e sta facendo buio. Sono a 60 km dall’arrivo, quando una serie inequivocabile di lampi e tuoni anticipa l’arrivo di un temporale. Devo trovare un posto per fermarmi, ma la violenza del temporale è tale che in meno di un minuto si alza un vento fortissimo accompagnato da scrosci d’acqua di una forza spaventosa. L’unico riparo che trovo è il tetto di una stazione di servizio. Mi butto sotto nella speranza di poter trovare riparo. La forza del temporale aumenta e all’improvviso salta la corrente elettrica, compresa quella pubblica. Siamo completamente al buio. Le poche macchine che transitano illuminano per qualche secondo l’area di parcheggio del distributore, ma la visibilità è davvero ridotta a meno di un metro. L’acqua, spinta dal vento, invade tutta l’area di sosta e io, pur essendo coperto, sono ormai quasi tutto bagnato. Decido di spostarmi dentro un locale dove si era rifugiato anche il gestore del distributore. Sono rimasto quasi mezz’ora ad aspettare che tornasse l’energia elettrica. La luce del mio casco è stata utile come luce d’emergenza.
La pioggia continua fortissima e non so cosa fare. Telefono a casa e mi confermano che i temporali cesseranno in nottata. Quindi la cosa migliore da fare è trovare un posto più comodo dove aspettare che il temporale passi e ripartire per gli ultimi 60 km. Telefono a Carlo il quale mi dice di essere riuscito ad arrivare ad un ristorante distante solo due km dalla mia posizione, molto comodo perché dotato di una ampio parcheggio coperto. Con l’aiuto del gestore del bar riesco ad individuare il ristorante che, nel frattempo, era diventato rifugio anche per altri randagi. Il titolare dell’esercizio, con molta pazienza, ha sopportato la pacifica invasione. Visto l’orario decidiamo di mangiare qualcosa e ci facciamo servire un delizioso piatto di pasta caldo. Dopo un paio d’ore smette di piovere e l’aria diventa fresca. Il caldo dei giorni precedenti è stato spazzato via dal forte temporale.
Ci vestiamo di tutto punto e partiamo avvolti da una notte più buia del solito: la luna è ben nascosta dalle nuvole, oramai molto meno minacciose. Ormai siamo tutti in gruppo e, nonostante la marea di km nelle gambe, il ritmo è alto, forse troppo alto per me. Il ginocchio, infatti, torna a farsi sentire e capisco che devo mollare un po’. Per fortuna il gruppo rallenta e comincio a respirare anche quando facciamo una sosta nell’unico bar ancora aperto. Siamo nelle terre natie di Carlo e lui non manca di decantarci storie e caratteristiche dei luoghi che attraversiamo. I paesi sono stranamente deserti e silenziosi. E’ quasi mezzanotte quando attraversiamo l’ultimo borgo prima dell’inizio della fatidica salita che porta al Santuario di Tindari. La scora edizione, per me, questa salita fu una vera piaga: ero stanchissimo e sfinito da tre giorni di caldo eccessivo. Ora mi sento bene e, soprattutto fa molto più fresco. Rallento un po’ perché il gruppo ha tutta l’intenzione di voler spingere anche in salita: cosa che io non gradisco; vorrei salire con calma. Mi ritrovo da solo e la cosa, come saprete, non mi dispiace. Dopo la prima curva trovo Carlo che mi stava aspettando: incuriosito mi dice che ha paura della discesa ed ha bisogno del mio faretto per illuminare bene le strade bagnate. Sorrido, perché so che non è questo il motivo e allegramente iniziamo la salita. Un mio amico dice sempre che quando ci sono due biciclette che vanno nella stessa direzione è impossibile non gareggiare. E’ stupido, lo so, ma è così. Senza rendermene conto ci ritroviamo a salire a velocità oltremodo alte e, dopo averlo raggiunto, superiamo anche il gruppo che, saggiamente, procedeva più lento. Mi vorrei schiaffeggiare, ma arrivo in cima con le gambe che mi fanno male, ma contento perché ormai è finita.
Arriva il gruppo e ci buttiamo giù in discesa, stavolta a velocità più ridotta perché Carlo è davvero senza più luce e il mio faro illumina bene la strada. Finita la discesa, iniziano gli ultimi km di salita verso Patti che sono il teatro dei rituali auguri a tutti, con un pensiero doveroso a Riccardo che ha lasciato incompiuta l’impresa. I ragazzi mi raccontano che anche la ragazzona austriaca ha mollato. E’ tempo di bilanci nel mio cervello: ne farò altri nei giorni successivi, ma quello che più di tutti ricorre nella mia mente è il doveroso paragone con le prestazioni della scorsa edizione. Il tempo, l’allenamento e l’esperienza accumulate in questi due anni si sono visti, eccome se si sono visti. Ho gestito bene tutti gli imprevisti, anche quelli derivanti dalla mia gastroenterite; sono riuscito ad arrivare in condizioni più che buone senza soffrire eccessivamente. Ancora oggi, a una settimana dall’arrivo, non ho riscontrato problemi di salute. Il ginocchio e i polsi sono ok. Il fondoschiena non ha problemi e sono già salito in bici due volte con tanta voglia di pedalare. Insomma, buona la prima, ma molto meglio la seconda.
Arriviamo nella piazza di Patti che è passata mezzanotte. Troviamo la simpatica figlia di Salvatore Giordano che ci accoglie con un sorriso ed un applauso. Troviamo Tony e la sua band che sono arrivati da poco, oltre ad altri ragazzi che si godono il meritato riposo. Ultimo timbro, firma del cartellino e giù per terra con un panino nella mano destra e una birra fresca nella sinistra. Paradossalmente non sono stanco. Mando un messaggio a casa per aggiornare la famiglia della vittoria. Mi rispondono che erano rimasti svegli per aspettare la notizia (troppo buoni, ma sono di parte …)
L’appuntamento è per la mattina dopo nella piazza di Patti, dove si terrà la rituale festa di fine rando con dolci e granite offerte dall’organizzazione. Torno in albergo e mi fiondo sotto la doccia. Mariano mi richiama dopo venti minuti che stavo li … tutti a nanna.
La mattina dopo, una solerte campana ci sveglia ogni quindici minuti: che tortura … Giu da letto e nuova doccia. La titolare della pensione sgrana gli occhi quando ci vede divorare la colazione … che fame !!! In Piazza Marconi, davanti all’omonimo hotel, Salvatore Giordano tiene il suo rituale discorso. Ci sono quasi tutti i partecipanti, tranne Micronauta che ho saputo essere arrivata alle prime luci dell’alba e che quindi, è comodamente avvolta in un caldo letto (mi è dispiaciuto non aver condiviso con lei qualche km di questa rando). Ci sono anche quelli che sono arrivati pochi minuti prima. La granita al limone è un toccasana per recuperare le energie perse. In un angolo della sala c’è un ciclista di mezz’età che, stanco morto, si è addormentato seduto, circondato da persone rumorose (non ha mosso un dito … come ha detto Micronauta: “””cuore autentico di randonneur !”””)
Salvatore Giordano ringrazia tutti per la buona riuscita di una manifestazione che stava morendo. Tutti gli facciamo un applauso e lo incoraggiamo a proseguire nel suo fantastico lavoro di organizzatore. Dopo le frasi di rito ci racconta dei ragazzi modenesi che hanno dormito nelle piscine delle Terme di Sciacca, dei ragazzi fermati dalla Polizia Stradale sull’autostrada per Catania e di tutti coloro che hanno dovuto mollare. Ci fa i complimenti per aver concluso e infine ci racconta di Cinzia, ricordate la ragazza non vedente sul tandem? Ci parla del suo arrivo, dell’abbraccio e delle parole che la ragazza gli ha rivolto “”” Ho visto dei posti meravigliosi …. grazie ! “””
Termino qui, ciao a tutti, Pino
P.S. Il viaggio di ritorno vale come un’altra avventura, ma ve lo racconterò, forse, un’altra volta .
[Aggiornamento del 1/10/2010] Ho pubblicato su Flickr un set di foto della Sicilia No Stop 2010. Potete visionarle a questo indirizzo

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